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Commento alla Domenica di Pasqua

Omelia (12-04-2020) (Omelia dal sito Omelie.org)
 

Dopo il dolore e lo sgomento del Venerdì Santo; dopo il silenzio e l'immobilità del giorno seguente - imposta anche dalla Legge per il giorno del Sabato - ecco che una donna si mette in movimento verso il sepolcro e, al suo annuncio, due uomini corrono verso la stessa direzione.
La Risurrezione di Cristo ci mette in movimento, e lo fa così come siamo: non permettiamo che i sentimenti a volte di inadeguatezza, la vergogna per i peccati commessi, c'impediscano di riprendere la direzione giusta e di correre incontro al Risorto.
No! Il Signore risorge proprio lì dentro i sepolcri della nostra umana caducità: è lì che passa beneficando e risanando tutti noi in potere delle tenebre a causa dei nostri peccati (cf I Lettura).

Guardiamo al Capo degli Apostoli Pietro: chissà quale dolore lo avrà afflitto dopo aver rinnegato il Maestro? Quale tormento lo avrà abitato nei giorni appena trascorsi? Il tutto condito probabilmente da un po' di delusione di fronte al suo Signore crocifisso: Lui, “il Cristo - il Figlio di Dio per il quale aveva lasciato tutto”, muore per mano d'uomo sul più ignobile dei patiboli.

Eppure Pietro all'alba di quel primo giorno della settimana corre. Sì: corre! Lentamente: abitato da questi suoi turbamenti interiori. Ma non indugia di fronte ad essi: un Amore più grande, sperimentato negli ultimi tre anni vissuti accanto al Messia, lo spinge; e arriva al sepolcro, ed entra.

Così Giovanni: anche lui corre; è più veloce rispetto al maturo Pietro: forse per l'età giovanile, la sua purezza, il suo essere “discepolo amato” e ora, dopo la morte di Gesù, “figlio” di Maria; ma anche lui corre, proprio come il suo compagno - come ogni uomo, verso il sepolcro della propria condizione umana, per incontrare finalmente la luce del Risorto, quella che illumina ogni uomo.

Ma veniamo al nostro oggi…
Quest'anno la nostra è una Pasqua “diversa” (o forse la più vera!): a causa del coronavirus siamo tutti costretti all’immobilità, a fare in qualche modo amicizia con ciò che sfuggivamo, che ha il volto del nostro prossimo e spesso proprio il nostro.

Carissimi, è una grazia questo tempo, e sarebbe da stolti sprecarla!
Quei vuoti dentro di noi che abbiamo riempito di tutto pur di non sentire l'eco della nostra limitatezza, della nostra povertà e fragilità di uomini, ora non possiamo più sfuggirli.

In un momento in cui tutto sembra fermo eccetto un virus mortale, in cui il mondo è immerso in un grande e vero Sabato Santo, qualche Domanda dovremmo farcela.

La nostra vita non sarà più la stessa di prima, poiché questo nemico invisibile che ha cambiato le nostre abitudini, stravolto la nostra vita sociale non può lasciarci indifferenti. Quel silenzio che stiamo sperimentando sta dicendo qualcosa di importante per la nostra vita da oggi in avanti; e ci invita a sostare davanti allo specchio della nostra condizione di figli di Dio.
La domanda è: Abbiamo vissuto fino ad ora conformi a questa immagine?
Si? Bene. No? Oggi Cristo viene a ridarci questa possibilità e dignità.

Per debellare il virus ci è stato chiesto un passo indietro dalla nostra libertà: “stare a casa!” (Che è diventato ormai uno slogan).
Quando torneremo ad essere liberi, a correre: quale sarà la nostra direzione?
Ecco allora che i passi di Maria di Magdala, di Pietro e di Giovanni sono i passi della nostra libertà verso il Signore risorto nei sepolcri della nostra vita, che questo tempo ci rivela come luoghi di grazia da cui poter risorgere a vita nuova con Lui.

Nell’Ottava incontreremo altri uomini testimoni della resurrezione, ognuno con la sua esperienza personale del Signore risorto: i discepoli di Emmaus ad esempio.
Anche loro sono in cammino quando incontrano il Risorto che subito non riconoscono; ma purtroppo - tristi, delusi e ripiegati su se stessi fino alla disperazione - stanno andando nella direzione opposta al “sepolcro della Risurrezione”. Essi si stanno infatti allontanando da Gerusalemme: luogo della manifestazione del Signore Risorto e grembo della Chiesa.

Il Signore è Risorto: questa è la Verità - l’Annuncio!
Ma sta a noi scegliere da quale parte andare: affacciamoci con coraggio sul nostro “sepolcro” e poi entriamoci, magari aiutati da qualche uomo o donna di Dio.
I due di Emmaus hanno avuto come guida Lui, il Risorto, il quale li ha ascoltati, li ha accompagnati e così condotti con l’insegnamento a riconoscere la verità, rivelando loro, nel Gesto, la Luce che ha vinto la loro cecità.

Come Maria di Magdala, Pietro e Giovanni, anche loro a questo punto videro e cedettero: ognuno con la propria esperienza del Risorto. Ma la meta è la stessa: la nostra libertà di figli amati di Dio.
Ecco l’Annuncio: l’amore del Padre rivelato in Cristo Gesù per mezzo del suo Spirito non ci abbandona!
Anche se noi figli prodighi ci allontaniamo dalla verità, lui ci raggiunge sempre per riprenderci, come ha fatto con questi due viandanti; e lo fa fino alla fine, poiché chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome (I Lettura). Dire “Sì” però tocca sempre e solo a noi.

Coraggio, carissimi, Oggi è Pasqua: celebriamo la festa con azzimi di sincerità e di verità (II Lettura).
Non rimandiamo a domani la festa per la nostra Salvezza: Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa (Sequenza) nella nostra vita, nella nostra Storia, oggi più che mai! Alleluia!

Commento alla Terza Domenica di Quaresima Anno A

Omelia
padre Gian Franco Scarpitta

Lo sposo e l'acqua viva

Cristo è lo sposo della Chiesa e ha dato se stesso per lei (Ef 5, 25 - 27), ma la Chiesa non si restringe al solo gruppo dei credenti: si estende a tutti gli uomini che sono invitati a farne parte e che in ogni caso non mancano di usufruire dell'amore di Dio e della fratellanza universale di Gesù. In lui tutte le distanze sono ravvicinate e tutti i popoli sono uno (Gal 3, 29) e la salvezza, nella comunione con lui, è indirizzata a tutti gli uomini. In Gesù c'è un rinnovato procedimento di raggiungere Dio, perché egli stesso comunica Dio all'uomo identificandolo come Padre di misericordia e nello Spirito Santo, per mezzo di lui, siamo invitati ad aderire a questo amore paterno. Tutti, senza distinzioni. L'amore di Dio è universale e gratuito, la sia misericordia supera le divisioni e le discordie che gli uomini si sono creati e la volontà di Dio di realizzare in suo Figlio Gesù la comunione di tutti i popoli attesta che lo stesso Gesù è lo sposo dell'umanità intera, poiché la Chiesa è protratta verso tutti.
Eccoci al senso della liturgia odierna, che ci induce a considerare (giustamente) immediatamente Gesù come fonte di acqua viva, ma che non possono esimerci da considerare innanzitutto il matrimonio e il "pozzo".
Nella Bibbia i pozzi non sono solamente luoghi in cui le persone di paese attingono acqua per se stesse, per le proprie famiglie e per il loro bestiame; sono anche luogo in cui ci si incontra e dove avvengono le conoscenze fra uomo e donna che conducono al fidanzamento e al matrimonio. Mosè presso un pozzo incontra Zippora, che diventerà sua moglie; il servo di Abramo individua in Rebecca una moglie per il figlio Isacco e Giacobbe incontra Rachele mentre questa sta conducendo le pecore al pozzo. Non c'è da stupirci quindi che Gesù, proprio al pozzo della città di Sicar che Giacobbe aveva dato in dono a Giuseppe, come Messia e Salvatore, prende come sposa una terra che altri hanno sempre ripudiato e deprezzato: la terra di Samaria.
Il dialogo con questa donna si conclude infatti con la conversione dei Samaritani, che aderiscono a Gesù non più per la testimonianza della conversatrice amica di Gesù, ma per il fatto che essi stessi fanno esperienza di lui, entrano in sintonia e realizzano un incontro.
Tutto comincia quando Gesù, stremato dalla fatica e assetato avvicina questa donna che si era recata al pozza ad attingere acqua e le dice: "Dammi da bere", superando lo stupore e l'imbarazzo di costei, che si meraviglia che lui chieda da bere a una persona samaritana, per di più di sesso femminile. Cosa inaudita per i suoi contemporanei, abituati a prendere le distanze dai Samaritani, con i quali sorgevano divergenze, liti, scontri e fazioni. La Samaria era considerata territorio impuro, abietto e detestabile da Giudei, perché avvezza alla venerazione di false divinità. Anche a costo di allungare il suo viaggio di centinaia di chilometri, un Giudeo diretto in Galilea evitava di percorrere la Samaria e prendeva la via del mare.
L'evangelista Giovanni invece dice che Gesù "doveva" percorrere la Samaria per il proposito del suo viaggio; non doveva quindi nutrire avversità, pregiudizi, rimostranze, ma considerare regolare e conforme trattare i Samaritani come tutti gli altri. E infatti non lesina a parlare a questa donna con estrema confidenza, apertura, attenzione, quasi preferendo la sua compagnia a quella dei discepoli che subentrano in un secondo momento. Con la samaritana Gesù usa un atteggiamento empatico e di estrema amorevolezza, senza puntare il dito su nulla e penetrando nella profondità del suo cuore: "Hai detto bene, non hai marito". Gesù infatti sa cosa alberga nell'uomo (Gv 2, 25) e conosce ciascuno nella sua realtà più profonda. Sa quali sono i nostri pensieri, le nostre apprensioni e i nostri desideri. Penetra nell'intimità di ciascuno di noi e ci conosce fino in fondo. Essere conosciuti e scrutati fino in fondo dopotutto comporta sentirsi apprezzati, accettati e stimati e questo reca sollievo e incoraggiamento perché rivela che non siamo estranei a chi ci scruta fino in fondo per comprenderci e conoscere al meglio i nostri problemi e le nostre difficoltà. Solo Dio è capace di esplorare il nostro animo e solo in Gesù nostro fratello può farlo nella forma migliore perché ci sentiamo amati e valorizzati. Secondo un paradigma con la vita religiosa, potremmo dire che in Gesù, Dio entra nella nostra clausura senza violarla. Come nel caso di questa donna, la cui intimità viene svelata senza meraviglia, conosce benissimo la sete inconsapevole di cui noi soffriamo e vi provvede risolutamente e contemporaneamente ella si sente motivata e spronata ad uscire da se stessa per instaurare amichevole relazione con Colui che comincia a riconoscere come il Messia.
Proponendosi alla Samaritana che cosa offre? L'acqua viva di cui lui stesso è la sorgente, quella che appaga il desiderio di ogni uomo. Mosè aveva soddisfatto la sete degli Israeliti quando questi protestavano contro di lui per mancanza di acqua durante la peregrinazione nel deserto: aveva fatto sgorgare acqua battendo su una roccia come Dio gli aveva comandato (Nm 20, 6 - 11; Es 17, 1 - 3) e dissetandosi il popolo d'Israele cessò le sue geremiadi contro il Signore; Gesù nel presentare la sorgente di acqua che in lui risiede promette lo Spirito Santo che come acqua appagherà la nostra sete universale: "Chi ha sete venga a me e beva"(Gv 7, 37) e in questo dissetarci e ristorarci realizza con noi una relazione da "sposo" affascinato di un'umanità precaria e malata, le cui sorti vuole risollevare in senso globale, cioè verso tutti e senza distinzioni. Di più: Gesù afferma che "Chi crede in me, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno"(Gv 7, 38), il che vuol dire che riponendo in lui fiducia e speranza saremo in grado di procurarci da noi stessi il prezioso liquido per la vita. Purché siamo propensi a riconoscere in lui la fonte, la sorgente da cui ogni possibilità di dissetarsi può scaturire.
Questo sposalizio festeggiato con acqua viva e dissetante ci motiva ancor di più a cercare Dio e ad andargli incontro, ben considerato che il primo a cercarci è stato proprio lui. Come l'acqua dona forza e vigore per riprendere la corsa, così Gesù sorgente di acqua viva ci incoraggia a proseguire il percorso di conversione facendocene provare la consistenza e la bellezza, sebbene esso sia costellato da difficoltà.

Fonte : www.lachiesa.it

Commento alle domenica delle Palme Anno A

Omelia (05-04-2020) dal sito laChiesa.it
don Roberto Seregni
Un re crocifisso

Carissimi amici,
dopo una quaresima davvero indimenticabile, siamo arrivati alla domenica delle Palme. Quest'anno non sventoleremo rami di ulivo, ma le nostre paure e le nostre solitudini; non faremo processioni verso le nostre chiese, ma santificheremo con pazienza e amore i corridoi e le stanze delle nostre case; non potremo riunirci come comunità, ma potremo trasformare le nostre case in chiese domestiche in ascolto della Parola.
Quest'anno il Signore ci chiama a una profonda conversione per vivere questa Settimana Santa ?rivestiti di Cristo? (Rm 13,14) in comunione con tutti quelli che stanno lottando, soffrendo e sperando.

Vorrei fermare la vostra attenzione sull'iscrizione posta sulla Croce di Gesù:?Costui è Gesù, il re dei Giudei?. È vero: Gesù è re, ma è un re completamente diverso dalle attese dei suoi discepoli. Un re che sorprende. Un re che dobbiamo ancora imparare a conoscere, a amare, a contemplare.
É un re che entra a Gerusalemme non con un cocchio regale, ma con un asinello dato in prestito.
È un re che tra il tradimento di Giuda e l'annuncio del rinnegamento di Pietro, dona tutto se stesso nel pane spezzato e nel calice della nuova alleanza.
É un re che si spoglia delle sue vesti e tra gli sguardi sbigottiti dei presenti si mette in ginocchio e inizia a lavare i piedoni dei dodici discepoli.
É un re fragile e indifeso come ogni uomo.
É un re solo, abbandonato dai suoi amici.
É un re senza trono e senza scettro, nudo e irriconoscibile, appeso ad una croce.
É un re che ha bisogno di un cartello per essere riconosciuto.
È un re che muore nella piú completa solitudine, come sono morti tutti gli infettati del coronavirus.

Questo è senza dubbio uno dei tratti piú misteriosi e stupendi della Croce: Gesù condivide l'abbandono, la solitudine, la povertà e la morte con tutti i crocifissi della storia. Gesù non ci salva dalla morte, ma nella morte, ci salva condividendo radicalmente la nostra povertà e fragilità. Questa è la grandezza dell'amore di Gesù. La sua debolezza è il segno piú luminoso della potenza del suo amore.

Un abbraccio
don Roberto

 

Epifania del Signore

Omelia (06-01-2021)
Missionari della Via



Per i bambini e i non-cristiani l'Epifania è la festa della Befana, che infila nei calzini i regali (una volta erano dolcetti o carbone, a seconda della condotta), frutto del consumismo allegro e spendaccione della nostra società postindustriale. Invece per i credenti, l'Epifania è una delle più grandi feste cristiane dell'anno: la manifestazione di Cristo a tutte le genti, simboleggiate nei Magi. Cristo è venuto per tutti e a tutti offre la salvezza nella fede in Lui. È proprio Lui il Signore del tempo e della storia, che oggi contempliamo ?infagottato? e teneramente accudito da Maria e Giuseppe. Ed egli attira tutti a sé. La notte di Natale i poveri pastori, oggi i ricchi e sapienti Magi, astrologi di altre religioni. È molto bello e indicativo il cammino dei Magi. Essi sanno leggere i segni dei tempi e si mettono in cammino. Vedono la stella e la seguono, vedono cioè quel segno che per loro è tale e si incamminano. Cercano il re dei Giudei, pertanto (logicamente!) vanno alla reggia del Re Erode. Ma la stella scompare. Questo re, questo Dio che cercano non è lì, non è nella sede del potente che domina sugli altri. Chiedono, si lasciano aiutare nella loro ricerca. La Scrittura li illumina, offre risposte. Coloro che invece gliele offrono sanno ma non si muovono, leggono ma non camminano. I Magi ripartono; riecco la stella, che gioia! E dove li conduce? Ad una povera stalla. Ed ecco il bambino, nella mangiatoia, venuto per servire, non per divorare ma per essere ?mangiato?, come oggi facciamo nell'Eucaristia. I Magi proprio in Lui riconoscono il Signore, si prostrano e lo adorano, offrendogli i loro doni. Pensavano di trovarlo nella reggia e invece lo trovano - e soprattutto - lo riconoscono proprio lì. Si sono lasciati cambiare nel modo di pensare e scegliere durante il cammino. Colui che incontrano è diverso da come avrebbero pensato, ma si lasciano rivoluzionare, potremmo dire si lasciano convertire. Tornano infatti per un'altra strada. Qui, nel cammino dei Magi, in fondo c'è il cammino di ogni persona sincera che cerca, di ogni incontro vero con Cristo. Non torni mai come prima. Torni trasformato, torni con Lui nel cuore.

Da www.lachiesta.it