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II DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

Omelia (05-12-2021)
padre Gian Franco Scarpitta

Liberazione e rinnovamento

Baruc, profeta minore ritenuto segretario di Geremia, similmente a Isaia e ad altri latori della parola di Dio, annuncia una liberazione politica: la liberazione dall'esilio e il ritorno in patria. I messaggeri divini sono portatori di speranza e invitano alla fiducia e all'attesa paziente e prolungata perché annunciano la fine di uno stato a cui si è costretti e il subentro di un altro regime migliore all'insegna della pace e della gioia. L'attesa degli esuli e dei dispersi dev'essere accompagnata dalla contentezza interiore che suscita la fede nel Dio venturo, che assieme alla liberazione verrà ad istaurare la pace e la giustizia. Non si tratta solamente di una liberazione politica, ma soprattutto di un rinnovamento interiore che avrà la sua incidenza nella vita di tutti, i cui risvolti si vedranno in senso sociale.
Uno stato di serenità universale e di valori che scaturiscono dall'uomo rinnovato dalla liberazione, che è prefigurativo, già 700 anni prima, della salvezza più universale, radicale e profonda che verrà ad apportare l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo: la sua venuta nella carne e soprattutto la sua immolazione di croce ci riscatteranno dal peccato, apporteranno la novità della liberazione dell'uomo dal malessere più radicale e pernicioso di cui è afflitto, appunto la lontananza da Dio con la rovina di se stesso e la sua dispersione nel rapporto con gli altri, appunto il peccato. E' questo infatti il malessere che rende schiavi e priva della libertà per mezzo di libertà illusorie e passeggere; il peccato riduce l'uomo in schiavitù ed è all'origine di ogni schiavitù, poiché sottomette l'uomo a tutto ciò di cui l'uomo potrebbe essere dominatore e padrone. L'ostilità umana nei confronti di Dio coincide con l'asservimento alla materia e procura autolesionismo personale nel procacciamento di banalità e futilità ritenute come fine ultimo; anzi, proprio il peccato porta a identificare come fine ciò che invece è un mezzo.
"Ma ecco, venne quell'Unico che era senza peccato per eliminare tutti i peccati", dice S. Agostino. Ciò soprattutto nella nostra società perbenistica e opulenta, che ritiene di poter bastare a se stessa, di poter prescindere da ogni riferimento etico e da qualsiasi rapporto con il sacro e con il trascendente, nella quale ciò che è peccaminoso è addirittura concepito come valore, mentre edonismo e ateismo sembrano essere le mode del nostro secolo. La celebrazione dell'Avvento è un appello che Gesù Cristo è sempre al centro della nostra storia e che per quanto il mondo proceda in molteplici direzioni erronee, per quanto ci si sia smarriti nella molteplicità delle favole e delle illusioni e perfino le religioni (purtroppo) sono state motivo di discordia e di divisione fra i popoli, il suo messaggio perdura così come si abbattono tutti le barriere di illusione con le quali siamo soliti proteggerci. Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre (Eb 13,8) e ogni altra alternativa a lui è un artefatto atto a confonderci e a disperderci.
La centralità di Cristo come fautore della vittoria sul peccato è preconizzata dall'annuncio di Giovanni il Battista che introduce il Verbo Incarnato elevandone la portata a tutti gli uomini del suo tempo, attraverso una parola convincente e uno stile di vita austero eppure maestoso. Il Battista annuncia l'arrivo del Messia in un determinato contesto di tempo (forse il 27 - 28 d.C, visto che si parla di Tiberio, succeduto ad Augusto 12 o 13 anni prima) ma predica e amministra un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, realizzando per l'appunto come l'amara realtà distruttiva dell'uomo sia appunto il peccato e l'abbandono da Dio. Vuole che ci si convinca del peccato, che ci si converta comprendendo la precarietà e la miseria morale a cui il peccato ci sottomette. Il Battista dischiude l'ingresso alla novità che instaurerà Gesù vero Dio e vero Uomo. Il suo messaggio non è limitativo a uno spazio di tempo circoscritto, ma si estende all'intera storia dell'uomo e avrà il suo riverbero fin quando questa non giungerà al suo epilogo.
Se Baruc e Isaia annunciavano una liberazione imminente da occupazioni politiche, Giovanni annuncia una liberazione molto più vasta, che ha come obiettivo il cuore dell'uomo; accanto ad essa è indispensabile motivarsi a realizzare un rinnovamento di noi stessi, una conversione del cuore che conduca alla trasformazione della persona intera. Liberazione operata da Dio in Gesù Cristo; rinnovamento adoperato sempre da Dio, ma non senza una radicale opera di corrispondenza dell'uomo attraverso una radicale conversione. Convertirsi vuol dire in fin dei conti convincersi del proprio malessere e porvi rimedio nella fede e nella confidenza nell'unico in grado di raggiungerci e di salvarci fino in fondo.

 

fonte : www.lachiesa.it

III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

Omelia (12-12-2021)
padre Gian Franco Scarpitta

Il preludio della gioia e del Natale

Questa Domenica di Avvento viene identificata come quella della gioia, che, assieme alla preghiera, alla meditazione e alle necessarie opere di rinuncia per elevare lo spirito, caratterizza questo periodo che ci separa dalla celebrazione del Natale. In avvento non occorre cioè intensificare l'orazione, accrescere l'interiorizzazione, mortificarci e - secondo il monito del Battista - cambiare radicalmente mente e cuore per farla finita con il peccato e familiarizzare con Dio; occorre fare tutto questo nell'ottica della gioia e della serenità. E' indispensabile vivere il tempo di grazia che ci è concesso non come un tempo da trascorrere il più rapidamente possibile per arrivare al Natale, ma come luogo in cui si viva già adesso la caparra del Natale e la sua anticipazione. Quindi dev'essere un periodo di letizia e di gioia, nella consapevolezza che il Signore verrà presto a liberarci.
Così si esprime Sofonia in questo breve poema che forma la Prima Lettura di oggi, che si rivolge a Gerusalemme, città che attende la fine della prigionia e il rientro dei primi esuli da Babilonia: la liberazione è garantita, i verificherà certamente, sarà risolutiva dei problemi e delle difficoltà degli Israeliti e determinerà la festa perenne per tutti. Quale liberazione non si tramuta, nel corso della storia, in una ricorrenza di commemorazione di festa? Il 14 Luglio è festa per la Francia per la memoria della presa della Bastiglia; il 4 Luglio per gli Stati Uniti che celebrano la data della loro indipendenza; il 25 Aprile è la nostra festa nazionale in memoria della liberazione dopo la guerra partigiana.... Ogni occasione di liberazione determina una data di festa e così anche per il popolo di Gerusalemme sottomesso per anni alla schiavitù.
Ma la liberazione che Dio vuole apportare alla radicale schiavitù dell'uomo non può che suscitare una festa perenne di essa bisogna godere con anticipo. L'attesa del Signore che viene, già essa, deve rallegrarci, colmarci di gioia e di serenità. La conversione, anche se accompagnata dal sacrificio della rinuncia a noi stessi, dall'impegno sopra ricordato dell'esercizio dello spirito, dalla lotta continua contro il peccato e tutto ciò che è di ostacolo al nostro progresso, non può non essere caratterizzata dalla gioia e dal senso interiore di festa, che prelude la festa solenne della venuta del Signore.
Giovanni Battista qualifica questa gioia, attraverso quelle che sono le risultanze della conversione, le evidenze del rinnovamento operato di noi stessi. Si rivolge a pubblicani, categoria di persone ben nota per affari truffaldini e manovre di guadagno interessate e li invita a desistere dalle loro consuetudini disoneste. Esorta anche i soldati, evidentemente propensi a trarre benefici dalla loro posizione, invita tutti alla condivisione, alla generosità e alla concordia. Mentre va predicando nel deserto amministrando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, adesso che le folle lo interrogano su cosa si debba fare egli risponde che è indispensabile esercitare la condivisione, la carità, la solidarietà, dividendo quello che si ha a disposizione con coloro che hanno bisogno. Occorre fuggire la menzogna e la falsità e vivere l'onestà e la rettitudine, ricercare sempre la giustizia e mettere da parte la tendenza a imbrogliare e a prevaricare sugli altri, specialmente sui deboli.
Se la conversione non conduce alla carità sincera, concreta e disinteressata non è vera conversione, ma esibizionismo, oppure ostentazione inane di se stessi. La mutazione radicale del cuore e il cambiamento di mentalità secondo Dio non può che apportare i frutti dello stesso Signore, cioè l'amore, la giustizia, la bontà e quanto ad esse è correlato. Del resto, come potremo celebrare il Natale in piena coscienza se non avremo usato un minimo di attenzione verso il prossimo, specialmente quello povero e indigente? Come possiamo vivere la gioia del Natale in famiglia quando abbiamo omesso qualsiasi tentativo per sanare eventuali discordi o gelosie fra parenti o amici?
Proprio la carità e l'amore, che scaturiscono da una seria conversione per una fede fondata e incrollabile, sono il contrassegno della gioia e della letizia. Come dice la Scrittura: "Il Signore ama chi dona con gioia" (2Cor 9,7) e nel dare vi è più soddisfazione che non nel ricevere. La trasparenza e la schiettezza delle opere di bene sono davvero qualificanti di una vera conversione e di una vera fede perché sono la fede stessa in atto che ci rende contenti e appagati.
Quando, tanti anni or sono, smisi di fumare, ricordo che, una volta liberato dal fardello della cocaina, mi sentii fisicamente come svuotato di pesanti zavorre che mi avevano occluso; ero leggero, più ottimista e disinvolto e mi sentivo libero di agire e di realizzare molto più di quando ero schiavo del tabacco, poiché questo spesso occludeva anche la volontà e l'iniziativa e tale liberazione unita all'incremento della voglia di fare mi infondeva molta più soddisfazione e contentezza di prima. Penso che allo stesso modo saremmo tutti realizzati e soddisfatti quando finalmente saremo liberi dei gravami occlusivi del peccato e di tutti i veleni ad esso correlati; quando avremo superato gli ostacoli del nostro falso orgoglio, della presunzione, della vanità per mezzo di un serio itinerario di conversione sincera, reale ed effettiva e allora ci sentiremo liberi di librarci verso gli altri per mezzo della carità autentica apportatrice di gioia.

 

Fonte : www.lachiesa.it

 

IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

 

Omelia (19-12-2021)
don Luca Garbinetto
La danza delle mamme

Nel silenzio e nella delicata discrezione dell'Avvento, tempo in cui tutta la creazione è invitata a essere sobria nei rumori e nei movimenti, l'incontro tra due mamme incinta irrompe come un frastuono gioioso e spezza il ritmo dell'attesa.


La corsa frettolosa di Maria ha il gusto della risurrezione anticipata.

L'esclamazione ?a gran voce' di Elisabetta è l'annuncio dell'evento già avvenuto, ma ancora aspettato. D'altro canto, solo chi porta in grembo il mistero ha diritto di proclamarlo al mondo. Solo chi si è resa campo da seminare e custodisce il germe nascosto ma presente può precedere le folle nell'esultanza della raccolta dei frutti.

Maria ed Elisabetta, festose nel turbamento di due gravidanze oltre ogni speranza, rompono gli schemi dell'ordine, nel traboccare dell'ospitalità, per non permetterci di considerare l'avvenimento una semplice questione da indagini cliniche. Una fanciulla vergine e una anziana sterile possono soltanto sconvolgere i calcoli di chi della vita ne fa un oggetto di controllo e di gestione. A noi, che vogliamo correre con loro sulla strada da Nazareth ad Aim Karim, e lasciarci coinvolgere nella fantasia creativa delle mamme, le due donne svelano la meraviglia della vita che ci oltrepassa e sorprende.


È la vita divina divenuta carne nel corpo di donna.

Solo chi si è aperta veramente alla vita può farsi ?fontana vivace' dei rivoli giocosi e gioiosi della vita condivisa, e mettere su una festa ordinaria ma incontenibile. Sembra che danzino, Maria ed Elisabetta, nella fretta, nello stupore, nell'abbraccio! Sembra che sia risorta nelle loro pance gonfie di futuro la danza lontana del re Davide: la nuova arca di salvezza che è Maria fa muovere le gambe e battere il cuore dell'Antico popolo raccolto nel seno di Elisabetta e nella profezia di Giovanni! Sembra che sia finalmente esplosa l'esultanza degli invitati a nozze, perché è arrivato lo Sposo, fatto bambino per poter essere introdotto dalla Madre Sposa nella sala del banchetto!


Questa è una giornata di placida e intima gioia.

La storia si unifica definitivamente, grazie al ?sì' di due figlie di Israele. E la freschezza del grido dell'anziana riflette la beatitudine sorridente dell'incoscienza della fanciulla, tanto saggia da abbandonare la propria esistenza nelle mani dell'Onnipotente. Anche i bambini si lasciano coinvolgere nel sussulto della danza.

E noi ci sentiamo invitati, coinvolti, quasi travolti da un mistero che restituisce verità alla nostra storia quotidiana. Perché noi non siamo fatti per la morte e la disperazione. L'ultima parola è quella del Signore: è un ?sì' totale e definitivo alla vita, soprattutto quando essa sembra impossibile, rovinata, perduta.


Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto'.

Beati noi, se non abbiamo fatto resistenza al passo di danza. Beati noi, se non abbiamo tappato le orecchie all'annuncio. Beati noi, se abbiamo corso in fretta lungo la via di Ain Karim.

E se la gioia è ancora muta nel nostro cuore, ancora c'è tempo: gli occhi profondi di Maria, scuri nella carnagione abbronzata dal sole, guardano luminosi i nostri occhi ansiosi di risposte. Il suo saluto tocca anche le nostre orecchie, e lei si fa tabernacolo della Parola fatta carne per noi: ?Benedetto sei tu, figlio amatissimo del Padre!'.

fonte : www.lachiesa.it

 

Prima Domenica d'Avvento (C)

Omelia (28-11-2021)
padre Gian Franco Scarpitta

Fino a Natale e per tutta la vita

Con questa settimana inizia un nuovo percorso liturgico, che prevede come prima tappa un periodo di predisposizione e di attesa, preparazione interiore nel contrassegno della festa e della gioia. Stiamo parlando del tempo di Avvento, che la Chiesa ha introdotto inizialmente per sconfessare
l'idea pagana di"avvento" (cioè venuta, arrivo) di un imperatore o di una divinità a cui gli uomini dovevano rendere culto. L'Avvento cristiano si sostituisce nei primi secoli alle aspettative del paganesimo: Colui che "viene" e che noi attendiamo non è un personaggio nobile e altolocato, ma Dio stesso che vuole entrare nella storia per assumerla fino in fondo. Il vero veniente che aspettiamo è Dio, che vuole assumere l'umanità fin dalla prima infanzia e rendersi così Bambino per essere in tutto e per tutto uno di noi. Il tempo di Avvento è allora periodo di attesa, predisposizione al Natale del Figlio di Dio che viene nella carne, preparazione alla festa indicibile del Tutto che entra nel frammento (von Balthasar).
Le quattro settimane che ci si profilano ci invitano a non lasciare che il giorno di Natale arrivi e passi quasi inosservato o si trascorra solamente all'insegna dello sfarzo dei regali, della lussuria e della smodatezza dei consumi; Natale non deve incombere nella nostra vita quasi come una Festa senza festeggiato, ma la sua celebrazione va predisposta nella consapevolezza che colui di cui celebriamo la nascita è Colui che viene a trovarci nella singolare liturgia del 25 Dicembre, perché è venuto nella storia oltre duemila anni or sono. E' venuto fra di noi dimorando esile e indifeso in una scomoda abitazione di Betlemme, sottomesso a precari genitori in una dimensione epocale del tutto difficile, sebbene contrassegnata dalla pace di Ottaviano Augusto.
Prepararsi al Natale vuol dire quindi rievocare un evento che tanto ci coinvolge come quello di Betlemme e attenderne la celebrazione nella consapevolezza che essa stessa ce lo riattualizzerà, apportandoci di esso tutti i vantaggi salvifici.
Prepararci a celebrare il Natale non rappresenta infatti una banalità o un processo di secondaria importanza: la nascita di Gesù nella carne va predisposta nell'animo nella considerazione costante che, mentre altri uomini cercano Dio come a tentoni, Dio stesso si rivela al mondo nella sua grandezza e ineffabilità e Colui che noi non conosciamo ci viene semplicemente annunciato (At 17, 16 - 21), perché possiamo accogliere la verità con fede e in forza di questo mistero che ci viene svelato possiamo farne un criterio di vita.
L'Avvento è aspettativa di spiritualità, di accoglienza del dono che Dio ci ha fatto di se stesso e di rinnovato impegno di elevazione dell'animo. E' un rinnovo costante della nostra professione di fede, un innalzamento di noi stessi i cui ausili irrinunciabili sono la preghiera, la meditazione, la riflessione della Parola di Dio, perché da queste risorse possiamo incentivare l'adesione al mistero di Dio che si fa uomo affinché noi viviamo da uomini divinizzati. E' evidente che la fede è a sua volta incentivo a che noi riscontriamo Dio che viene nella forma di Fanciullo abbandonato in coloro che noi vediamo abbandonati e oppressi, cioè nei poveri, negli umili e negli indifesi e di conseguenza preghiera e meditazione non possono non sfociare in concrete opere di carità e di accoglienza. Se queste dovessero venir meno, ogni costruzione spirituale che abbiamo innalzato evidentemente crollerà e vano sarà stato qualsiasi sforzo a vantaggio dello spirito.
Le quattro settimane liturgiche che stiamo per trascorrere tuttavia non si limitano tuttavia al solo periodo di attesa di una data, sia pure esaltante, del 25 Dicembre. Esse ci rammentano infatti che tutta la vita è un'attesa continua di Dio che viene nella forma totalizzante del nostro vissuto; come l'Oggi che interessa da vicino la nostra vita; il Passato del quale si fa memoria istruttiva e il Futuro verso il quale occorre incamminarci con fiducia e che intanto va costruito mattone dopo mattone nell'attualità. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8), non soltanto nel senso che egli è l'immutabile e l'onnipresente ma anche nel significato più vasto che, appunto in quanto caratterizzante la nostra vita per intero, è il nostro passato, il nostro oggi e il nostro avvenire. Di conseguenza Gesù è venuto, viene oggi e verrà domani e in linea di massima lo si attende in tutti i momenti e sotto qualsiasi aspettativa. Il suo venire fra di noi e il suo stare in mezzo a noi è qualificante, perché ci da' la prospettiva del senso, del fondamento e della finalità di ogni realtà circoscritta; la memoria del passato, anche con la sua negativa e con i suoi errori, si concilia con la creazione quotidiana del presente e da questo, passo dopo passo, con la costruzione dell'avvenire mentre la fede ci dice che Cristo è anch'egli il nostro Avvenire. Lo attendiamo infatti glorioso alla fine dell'eone storico presente.
Il monito di Gesù ad evitare dilapidazioni di tempo e di risorse in beni, in affanni inutili e vane dispersioni è orientativo al futuro, quando nel momento che non ci si aspetta Gesù tornerà nella gloria; esso tuttavia va concepito come valido in qualsiasi momento: se ogni occasione è propizia per andare incontro al Signore che viene, incombe pure in ogni istante la minaccia di poter mancare a questo incontro o che possiamo trasformarlo in un'occasione di deperimento o di condanna che noi stessi ci saremo cercati. Questo avviene quando si preferisce ostinatamente la via dell'errore alla giustizia di Dio quale proposta dal profeta Geremia (I Lettura), quando deliberatamente si sceglie la schiavitù alla libertà garantita dalla legge che Dio ha scolpito nei nostri cuori; quando il peccato ostinatamente interessa la nostra vita in luogo della libertà stessa dei Figli di Dio. il profeta annuncia tempi gloriosi nei quali trionferà la giustizia, periodi indefiniti di pace e di benessere, metaforicamente luoghi di gioia che conseguono alla speranza e tale è l'obiettivo dell'Avvento nella nostra vita; preferire tuttavia le vane sicurezze e le comodità apparenti del peccato al primato della comunione con Dio equivale a perdere ogni occasione propizia e a lesionare inesorabilmente noi stessi. Il peccato è rovina perché produce disfatta.
L'Avvento è appunto l'attesa contrassegnata dalla nostra sconfitta del peccato, perché l'arrivo del Signore possa essere per noi risolutivo di gioia e di letizia, come un vero e proprio spazio interattivo di confidenza. Sia a Natale sia nel resto della vita.

 

Fonte : www.lachiesa.it