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san Bernardo ai piedi della Vergine Maria

Bernardo di Clairvaux

 

Sermoni per l’Avvento

 

SERMONE I


Sei circostanze dell’Avvento

 

 

1. Oggi, fratelli, celebriamo l’inizio dell’Avvento. Questo nome, come quello delle altre solennità, è abbastanza celebre e noto al mondo, ma il suo significato non è forse altrettanto conosciuto. Infatti, i poveri figli di Adamo, trascurando di studiare le cose importanti e salutari, cercano piuttosto le cose caduche e transitorie. A chi paragoneremo gli uomini di questa generazione (Mc 4, 30; Lc 7, 31) che vediamo incapaci di staccarsi e separarsi dalle consolazioni terrene e caduche? Sono certamente simili a quei naufraghi che, in procinto di venir sommersi dalle acque, si aggrappano a qualsiasi cosa, la prima che capiti loro tra mano, e la tengono fortemente stretta, anche se si tratta di cose che in nessun modo possono portare aiuto (Is 30, 5), come radici di erbe e cose simili.

E se qualcuno viene in loro aiuto, capita talvolta che lo trascinano con sé, sicché non può più aiutare né loro, né se stesso. Così periscono in questo mare grande e spazioso (Sal 104 (103), 25), così periscono i miseri, mentre, seguendo le cose periture, perdono quelle solide, attaccandosi alle quali potrebbero riemergere e salvare la loro vita (Gc 1, 21). Non infatti della vanità, ma della verità è detto: La conoscerete ed essa vi farà liberi (Gv 8, 32). Voi dunque, fratelli, ai quali, in quanto piccoli, Dio rivela quelle cose che tiene nascoste ai sapienti e prudenti (Mt 11, 25), occupatevi di quelle cose che sono veramente salutari, facendone oggetto dei vostri assidui pensieri. Riflettete con cura al significato di questo avvento, investigando chi sia colui che viene, donde venga, dove vada, che cosa venga a fare, quando e per quale via egli venga. Certamente è questa una curiosità degna di lode e salutare: infatti la Chiesa universale non celebrerebbe questo Avvento con tanta devozione, se non si nascondesse in esso un qualche grande sacramento (Ef 5, 32).

 

2. Innanzitutto pertanto, insieme con l’Apostolo, pieno di stupore e di ammirazione (At 2, 12), considerate anche voi la grandezza di costui che viene: egli è infatti, secondo la testimonianza di Gabriele, il Figlio del Dio Altissimo (Lc 1, 32), e conseguentemente Altissimo anche lui. Non possiamo infatti pensare ad un Figlio di Dio degenere, ma dobbiamo confessarlo di uguale altezza e della medesima dignità. Chi non sa infatti che i figli di principe sono anch’essi principi, e i figli di re sono re anch’essi? Ma perché mai delle tre Persone che crediamo e confessiamo e adoriamo nell’eccelsa Trinità, non il Padre, non lo Spirito Santo, ma il Figlio è venuto? Io penso che questo sia stato fatto non senza una ragione. Ma chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore. O chi mai è stato suo consigliere (Rm 11, 34)? E certamente non fu senza il consiglio della Trinità che venisse il Figlio; e se consideriamo la causa del nostro esilio, forse possiamo capire, almeno un poco, come fosse conveniente che fosse soprattutto il Figlio a liberarci. Lucifero infatti, che si levava al mattino (Is 14, 12), per il fatto di aver tentato di usurpare la somiglianza dell’Altissimo, e di essersi attribuito ingiustamente di essere uguale a Dio (Fil 2, 6), il che è prerogativa del Figlio, venne punito all’istante e precipitato nell’inferno (Is 14, 12), perché il Padre vendicò l’onore del Figlio, e fu come dicesse: A me la vendetta, io darò il dovuto castigo (Rm 12, 19). E subito avresti potuto vedere Satana che come fulmine cadeva dal cielo (Lc 10, 18). Come osi insuperbirti tu, terra e cenere (Sir 10, 9)? Se Dio non ha perdonato agli angeli insuperbiti (Rm 11, 21), quanto più userà lo stesso rigore a tuo riguardo, putredine e verme (Sir 19, 3) che sei. Lucifero non ha fatto nulla, nessuna azione esterna: ha solo avuto un pensiero di superbia e in un istante, in un batter d’occhio (1 Cor 15, 52) fu irreparabilmente precipitato, perché, secondo il Profeta, egli non stette nella verità (Gv 8, 44).

 

3. Fuggite la superbia, fratelli miei, ve ne prego; fuggitela con orrore. La superbia è alla base di ogni peccato, essa che ha sprofondato nelle tenebre eterne (Gb 3, 9) così velocemente lo stesso Lucifero che rifulgeva più splendido di tutte le stelle, e da primo degli angeli lo mutò in diavolo. E così, subito ardente d’invidia per l’uomo, ingenerò in lui l’iniquità che aveva concepito in se stesso (Gb 15, 35; Sal 7, 15), persuadendolo a mangiare il frutto proibito, per diventare così simile a Dio, mediante la conoscenza del bene e del male (Gen 3, 5-6). Che cosa offri, che cosa prometti, disgraziato, dal momento che il Figlio dell’Altissimo (Lc 1, 32) ha la chiave della scienza (Lc 11, 52), anzi, è egli stesso la chiave, la chiave di Davide che chiude e nessuno può aprire (Ap 3, 7)? In lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2, 3); tu saresti capace di rubarli per darli all’uomo? Vedete che veramente, come dice il Signore, costui è bugiardo e padre della menzogna (Gv 8, 44). Fu infatti bugiardo quando disse: Sarò simile all’Altissimo (Is14, 14), e padre della menzogna allorché trasfuse anche nell’uomo il germe avvelenato della sua falsità, dicendo: Sarete come dei (Gen 3, 5). Anche tu, o uomo, vedendo un ladro, corri con lui (Sal 50 (49), 18). Avete notato fratelli, quello che è stato letto questa notte nel profeta Isaia, che riferisce le parole del Signore: I tuoi principi sono infedeli, ovvero, secondo un’altra versione: disobbedienti, compagni dei ladri (Is 1,23).

 

4. In realtà i nostri principi Adamo ed Eva, capostipiti della nostra razza, sono stati disobbedienti, soci di ladri; essi tentano per consiglio del serpente, anzi del diavolo che si serve del serpente, di rubare quello che appartiene al Figlio di Dio. E il Padre non dissimula l’ingiuria (Pr 12, 16) fatta al Figlio — egli infatti ama il Figlio (Gv 5, 20) —, ma subito anche nell’uomo vendica questa ingiuria (Dt 32, 43), e appesantisce la sua mano su di noi (Sal 32 (31), 4). Tutti infatti in Adamo abbiamo peccato (Rm 3, 23; 1 Cor 15, 22), e in lui tutti abbiamo ricevuto la sentenza di dannazione. Che cosa farà il Figlio vedendo che il Padre prende le sue difese, e non perdona ad alcuna delle sue creature? «Ecco, dice, per causa mia il Padre perde le sue creature. Prima l’Angelo ha ambito la mia eccellenza, e ha trovato compagni che lo seguissero; ma subito la gelosia del Padre si è scagliata contro di lui e contro i suoi seguaci, percuotendoli tutti con piaga incurabile (2 Mac 9, 5), con crudele castigo (Ger 30, 14). L’uomo ha voluto rubarmi anche la scienza, che appartiene a me, e neppure di lui ha avuto compassione (Dt 7, 16; Ez 16, 5), né gli ha perdonato. Dio si cura forse dei buoi (1 Cor 9, 9)? Aveva Dio fatto soltanto due nobili creature dotate di ragione, capaci di beatitudine, l’angelo cioè e l’uomo; ma per causa mia perse molti angeli e tutto il genere umano. Dunque, perché sappiano che anch’io amo il Padre (Gv 14, 31), riabbia per mezzo mio quelli che in qualche modo per causa mia sembra aver perduto. Se questa tempesta, dice Giona, è sorta per causa mia, prendetemi e buttatemi in mare (Gn 1, 12 sec. ant. vers.). Tutti mi portano invidia. Vengo, e tale mostro me stesso, che chiunque vorrà invidiarmi, chiunque desidererà di imitarmi, questa emulazione vada a bene suo. So tuttavia che gli angeli disertori si sono dati completamente alla malizia e alla nequizia (1 Cor 5, 8), e non hanno peccato per una qualche ignoranza o fragilità; perciò, non volendo essi pentirsi, è inevitabile che periscano. L’amore del Padre e l’onore del Re esigono la giustizia (Sal 99 (98), 4)».

 

5. Per questo infatti egli ha creato da principio gli uomini (Gen 1, 27-28; Mt 19, 4) affinché da essi fossero riempiti i posti rimasti vuoti, e venissero restaurate le rovine della (celeste) Gerusalemme (Is 61, 4). Sapeva infatti che per gli angeli era impossibile una via di ritorno. Conosce infatti la superbia di Moab (Is 16, 6; Ger 48, 29), che è grande, e non ammette rimedio di pentimento, e per questo esclude anche il perdono. Ma per gli uomini non ha creato nessuna creatura per sostituirli, dando a vedere con ciò che per l’uomo c’era ancora redenzione, essendo egli stato soppiantato dalla malizia altrui; per questo gli poteva giovare la carità di un altro. Così, Signore, ti supplico (Es 34, 9), ti piaccia di liberarmi (Sal 40 (39), 14) perché io sono infermo (Sal 6, 3), perché dalla mia terra sono stato dolorosamente strappato (Gen 40, 15), e buttato in questo carcere. Non del tutto innocente, a dire il vero, ma rispetto a colui che mi ha sedotto, un poco innocente. La menzogna mi è stata suggerita, o Signore: venga la verità, onde si scopra la falsità, e io conosca la verità, e la verità mi darà la libertà (Gv 8, 32), a condizione che, scoperta la falsità, io rinunzi completamente ad essa ed aderisca alla verità conosciuta. Diversamente non sarebbe più una umana tentazione (1 Cor 10, 13), né un peccato umano, ma sarebbe ostinazione diabolica: perseverare nel male, infatti, è cosa diabolica, e giustamente meritano di perire con il diavolo (Ap 12, 9) coloro che si ostinano nel peccato (Rm 6, 1).

 

6. Ecco, fratelli, avete sentito chi è colui che viene; considerate ora da dove venga, e dove vada. Viene egli dal cuore di Dio Padre nel grembo della Vergine Madre; viene dall’alto dei cieli (Sal 19 (18), 7) nelle inferiori parti della terra. E allora? Non dobbiamo anche noi vivere sulla terra (Bar 3, 38)? Certo, ma a condizione che vi rimanga anche lui. Dove mai infatti si può star bene senza di lui, o si sta male con lui? Chi altri avrò per me in cielo? fuori di te nulla bramo sulla terra, Dio del mio cuore e Dio è la mia sorte per sempre (Sal 73 (72), 25-26). Poiché, anche se dovessi camminare in mezzo alle ombre di morte, non temerò alcun male, se tu sei con me (Sal 23 (22), 4). Ma ora, come vedo, tu scendi sulla terra e agli stessi inferi (Sal 139 (138), 8), non come un prigioniero, ma come uno che è libero anche nell’inferno (Sal 88 (87), 6), come la luce che splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta (Gv 1, 5). Perciò la sua anima non viene lasciata negli inferi (Sal 16 (15), 10; At 2, 27), né il suo sacro corpo nella terra vede la corruzione. Il Cristo infatti che è disceso, è il medesimo che è asceso (Ef 4, 10), per dar compimento a tutto, e di lui è stato scritto: Passò facendo del bene e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo (At 10, 38), e altrove: Esulta come un prode che percorre la via, egli sorge da un estremo del cielo, e la sua corsa raggiunge l’altro estremo (Sal 19 (18), 6-7). Giustamente perciò esclama l’Apostolo: Cercate le cose di lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio (Col 3, 1). Non vi sarebbe infatti stata ragione per invitarci a sollevare al cielo i nostri cuori, se non ci assicurasse che là risiede l’autore della nostra salvezza (Eb 2, 10). Ma vediamo ora quello che segue. Perché, sebbene la materia sia abbondante e si presti a molte considerazioni, la ristrettezza del tempo non consente di prolungare troppo il sermone. Considerando dunque chi è colui che viene, ci è apparsa la sua grande e ineffabile maestà (Sal 29 (28), 3). Osservando di dove venga, ci è apparsa una lunga via (1 Re 19, 7), secondo la testimonianza di colui che, prevenuto da spirito profetico, disse: Ecco, il nome del Signore viene da lontano (Is 30, 27). Guardando poi dove fosse diretto, è apparsa la inestimabile e del tutto impensabile degnazione, che tanta grandezza si sia degnata di scendere nell’orrore di questo carcere.

 

7. Ormai non c’è più dubbio che sia in gioco qualcosa di grande, se tanta maestà si è degnata di venire tanto da lontano e scendere in un luogo così indegno. E davvero si tratta di cosa grande, una grande misericordia, una profonda compassione, una carità immensa (Sal 86 (85), 13; Sir 17, 28 ecc). Che cosa pensiamo infatti sia venuto a fare? Questo è quanto dobbiamo chiarire secondo l’ordine che ci siamo proposti. E non abbiamo da faticare a questo riguardo, perché le parole di Cristo e le sue opere manifestano chiaramente lo scopo della sua venuta. È venuto cioè a cercare la centesima pecorella che si era smarrita (Mt 18, 12), scendendo con premura dai monti, ed è venuto per noi, affinché più apertamente sia lodato il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi a favore degli uomini (Sal 107 (106), 8.15.21). Grande degnazione che Dio venga in cerca dell’uomo, grande dignità dell’uomo così cercato! Di questa dignità se egli volesse gloriarsi, non sarebbe insipiente (2 Cor 12, 6); non che sembri essere qualcosa per se stesso, ma perché ne ha fatto tanto conto colui che lo ha creato. Tutte le ricchezze, tutta la gloria del mondo, infatti, e tutto quanto in esso è oggetto di bramosia, sono cose di nessun conto di fronte a questa gloria; anzi, è un nulla a paragone di essa. Signore, che cosa è un uomo perché te ne curi, un figlio d’uomo perché te ne dia pensiero (Sal 144 (143), 3; Gb 7, 17)?

 

8. Tuttavia, vorrei sapere perché mai egli stesso è venuto a noi, e non piuttosto noi siamo andati a lui. Eravamo infatti noi che avevamo bisogno; e non è consuetudine dei ricchi andare ai poveri, anche se volessero farlo. È così, fratelli; era giusto che noi piuttosto andassimo da lui; ma vi erano due difficoltà. Erano offuscati infatti i nostri occhi (Gen 27, 1; 48, 10 ecc), egli invece abita la luce inaccessibile (1 Tm 6, 16); eravamo paralitici giacenti nella barella (Mt 9, 2), e non ci era possibile arrivare alla sua divina altezza. Per questo il benignissimo Salvatore e medico delle anime discese dalla sua altezza, e adattò il suo splendore all’infermità dei nostri occhi. Si rivestì di un corpo glorioso e immune da ogni macchia come di una lampada. Questo è quella lievissima e fulgentissima nuvola (Is 19, 1), sulla quale il Profeta aveva predetto che sarebbe salito per scendere in Egitto.

 

9. Ed è ormai da considerare anche il tempo nel quale è venuto il Salvatore. Venne infatti, penso che non lo ignorate, non all’inizio, non a metà, ma alla fine dei tempi. Né a caso, ma veramente con sapienza la Sapienza dispose (Sap 8, 1) di recare l’aiuto quando era maggiormente necessario, non ignorando che i figli di Adamo sono inclini all’ingratitudine. Veramente infatti calava la sera e il giorno volgeva al suo termine (Lc 24, 29), era quasi tramontato il Sole di giustizia (Mal 3, 20), sicché i suoi raggi davano poca luce, e poco calore irradiavano sopra la terra. Era difatti molto scarsa la luce della conoscenza di Dio, e abbondando l’iniquità, si era raffreddato il fervore della carità (Mt 24, 12). Non c’erano più apparizioni di angeli, non più parola di profeta; cessava la loro presenza, quasi vinti dalla disperazione, a causa della eccessiva durezza e ostinazione degli uomini. «Ma io, dice il Figlio, allora ho detto: Ecco, io vengo (Sal 40 (39), 8). Proprio così, mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente, o Signore, dal tuo trono regale è venuta (Sap 18, 14). Anche l’Apostolo a questo proposito dice: Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio (Gal 4, 4). La pienezza e l’abbondanza delle cose temporali aveva fatto dimenticare e trascurare le cose eterne. Venne dunque opportunamente l’eternità, quando maggiormente prevalevano le cose transitorie. Infatti, per accennare solo a questa, tanto grande fu anche la pace temporale in quel tempo, che bastò l’ordine di un solo uomo per fare il censimento di tutto il mondo (Lc 2, 1).

 

10. Conoscete ormai la persona di colui che viene e ambedue i luoghi, quello da cui e quello in cui è venuto. Non ignorate anche la causa e il tempo. Rimane da sapere la via per cui è venuto, e anche questa la dobbiamo diligentemente cercare, come conviene, onde possiamo andargli incontro (Mt 2, 7-8). C’è da notare tuttavia, che, se è venuto una sola volta sulla terra in carne visibile (1 Gv 4, 2) per compiere l’opera della salvezza (Sal 74 (73), 12), ogni giorno viene spiritualmente in modo invisibile per salvare le anime dei singoli (Gc 1, 21; 5, 20), come sta scritto: Spirito è davanti a noi Cristo Signore (Lam 4, 20 sec. ant. vers.). E perché sappiamo che questo spirituale avvento è occulto, dice: Alla sua ombra viviamo tra le genti (ibid.). Perciò se un infermo è incapace di andare incontro ad un tale medico per un tratto di via troppo lungo, conviene tuttavia che alzi la testa e si alzi un poco verso colui che viene. Non ti è necessario, o uomo, passare i mari (Dt 30, 13; Is 23, 2 ecc.), non penetrare le nubi, non valicare i monti. Non ti si para dinanzi una lunga strada (1 Re 19, 7): va’ incontro al tuo Dio fino a te stesso. Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore (Rm 10,8). Vagli incontro fino alla compunzione del cuore e alla confessione della bocca (Rm 10, 10), onde uscire almeno dall’immondezza di una misera coscienza, perché è indegno dell’autore della purità entrare là. E questo sia detto di quella venuta con la quale egli si degna con invisibile potenza illustrare le menti dei singoli.

 

11. Ci piace però anche considerare la via della sua venuta manifesta, perché le vie del Signore sono vie deliziose, e tutti i suoi sentieri conducono al benessere (Pr 3, 17). Ecco, dice la sposa, viene saltando sui monti, scavalcando le colline (Ct 2, 8). Lo vedi venire, o bellissima, ma prima non potevi vedere dove riposava. Hai detto infatti: Mostrami, o amato dell’anima mia, dove pasci, dove riposi (Ct 1, 6). Riposando pasce gli angeli in quelle perpetue eternità, saziandoli con la visione della sua eternità e immutabilità. Ma non ignorare te stessa, o bellissima (Ct 1, 8), perché mirabile è per te quella visione, troppo alta e tu non la comprendi (Sal 139 (138), 6). Ma ecco, egli è uscito dal suo luogo santo (Ger 4, 7; Mi 1, 3); e lui che, riposando, pasce gli angeli, lui stesso ci ha rapiti e così ci salverà (Os 6, 2), e si vedrà venire e pascersi, lui che riposando e pascendo non era visibile prima. Eccolo che viene salendo sui monti e valicando le colline. Per monti e colline intendi i Patriarchi e i Profeti; e come sia venuto salendo e valicando, leggilo in quelle parole della genealogia di Gesù: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, ecc. (Mt 1, 2). Da questi monti uscì, come trovi scritto, la radice di Jesse, dalla quale, secondo il Profeta, germogliò la verga (Is 11, 1-2) da cui spuntò un fiore, sul quale si posò il settiforme Spirito. E il medesimo Profeta spiega questo più chiaramente in un altro passo: Ecco, dice, una vergine concepirà e partorirà un figlio, e il suo nome sarà chiamato Emanuele (Is 7, 14), che significa Dio con noi (Mt 1, 23). Quello che prima ha detto fiore, ora lo chiama Emmanuele, e quella che aveva detto verga, spiegandola ulteriormente, chiama ora Vergine. Ma è necessario riservare a un altro giorno la considerazione di questo altissimo mistero, che presenta materia per un sermone a parte, tanto più che quello di oggi è già durato tanto a lungo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SERMONE II

 

Della lettura di Isaia:
«Disse il Signore ad Achaz: Chiedi per te un segno»,
e della via dell’avversario

 

 

1. Abbiamo udito come Isaia consigliava ad Achaz di chiedere al Signore un segno, sia nel profondo dell’inferno, sia lassù in alto (Is 7, 10-12). Abbiamo sentito la sua risposta, che ha un’apparenza di pietà, ma non la virtù (2 Tm 3, 5). Perciò ha meritato il rimprovero da colui che scruta il cuore (1 Sam 16, 7), e davanti al quale è manifesto ogni pensiero umano. Non chiederò, dice, non tenterò il Signore (Is 7, 12). Achaz era gonfio d’orgoglio per il fastigio del trono regale, astuto nelle parole secondo l’umana sapienza (1 Cor 2, 4). Perciò il Signore aveva detto a Isaia: «Va’ a dire a quella volpe (Lc 13, 32) di chiedere per sé un segno nel profondo (Is 7, 11)». Hanno infatti le volpi una tana (Mt 8, 20), ma anche se scendesse negli inferi (Sal 139 (138), 8), là vi è colui che prende i sapienti al laccio della loro astuzia (Gb 5, 13; 1 Cor 3, 19). E ancora: «Va’ a dire a quell’uccello, dice il Signore, di chiedere per sé un segno lassù in alto». L’uccello ha infatti un nido (Mt 8, 20); ma se anche salirà in cielo, là c’è colui che, resistendo ai superbi (1 Pt 5, 5), schiaccia con la sua forza il collo dei superbi e degli orgogliosi. Tuttavia Achaz rifiuta di chiedere un segno di potere eccelso ovvero di sapienza di incomprensibile profondità; e perciò il Signore stesso promette alla casa di David un segno di bontà (Is 7, 13), per attirare con l’espressione della carità coloro che non erano stati smossi né dal terrore del potere, né dalla prova di sapienza. La carità può essere significata non a torto in quelle parole: Nel profondo dell’inferno (Is 7, 11), la carità stessa cioè della quale nessuno ebbe una più grande (Gv 15, 13), che fece sì che morisse per gli amici e scendesse nell’inferno, così che ad Achaz venga ordinato di riverire con timore la maestà di colui che regna nei cieli altissimi, o abbracciare la carità di colui che sarebbe sceso negli inferi. Non solo dunque stanca la pazienza degli uomini, ma anche quella di Dio (Is 7, 13) chiunque né pensa alla maestà con timore, né con amore ripensa alla carità. Per questo, dice, il Signore stesso vi darà un segno, nel quale apparisca chiaramente la maestà e la carità. Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio, e sarà chiamato con il nome di Emmanuele (Is 7, 14), che significa Dio con noi (Mt 1, 23). Non fuggire, Adamo; perché il Signore è con noi. Non temere, uomo (Lc 1, 30), e udendo il nome di Dio non restare terrorizzato, perché Dio è con noi. Con noi per la somiglianza della carne (Rm 8, 3), con noi per nostra utilità: per noi è venuto, come uno di noi (Gen 3, 22), simile a noi (Gc 5, 17), passibile.

 

2. Mangerà burro e miele, dice (Is 7, 15), come per dire: Sarà piccolo, e si nutrirà di alimenti adatti ai bambini. Perché impari, dice ancora, a rigettare il male e scegliere il bene (ibid.). Anche qui senti parlare di male e di bene (Gen 3, 22), come a riguardo dell’albero proibito (Gen 2, 17), come si parla dell’albero della trasgressione. Ma questo secondo Adamo fa la sua scelta molto meglio del primo. Scegliendo il bene, egli rigetta il male, non come il primo Adamo che amò la maledizione e venne su di lui, e ricusò la benedizione, e da lui si è allontanata (Sal 109 (108), 17). Nelle parole, infatti, che precedono: Mangerà panna e miele (Is 7, 15) lascia intendere la scelta di questo bambino. Solo ci assista la sua grazia, onde siamo in grado di capire in qualche modo e di esporre in modo degno e adatto alle intelligenze queste cose. Due sono i prodotti del latte della pecora: il burro e il formaggio. Il burro è grasso, il formaggio invece è secco e duro. Bene dunque il nostro pargolo sa scegliere, mangiando il burro e lasciando il cacio. Quale è infatti quella centesima pecora che si è spersa (Mt 18, 12), e di cui si parla nel salmo: Come pecora smarrita vado errando (Sal 119 (118), 176)? È sicuramente il genere umano, che il benignissimo Pastore cerca, lasciando le altre novantanove pecorelle sui monti. In questa pecora pertanto si possono trovare due cose, la natura dolce, la natura buona, come il burro, e la corruzione del peccato, come il formaggio. Vedi dunque come il nostro bambino ha scelto molto bene, prendendo la nostra natura, ma senza la corruzione del peccato. Dei peccatori invece è detto: Si è coagulato come latte il loro cuore (Sal 119 (118), 70); in essi infatti il fermento della malizia, il caglio dell’iniquità (1 Cor 5, 8) ha corrotto la purità del latte.

 

3. Così anche l’ape ha la dolcezza del miele e la puntura del pungiglione. Ora l’ape è colui che si pasce tra i gigli (Ct 2, 16), che abita la patria fiorita degli angeli. Perciò è volata alla città di Nazareth che significa fiore ed ha raggiunto il fiore odoroso della perpetua verginità: vi si è introdotta, vi si è attaccata. Non ignora il miele e il pungiglione di quest’ape colui che con il Profeta ne canta la misericordia e la giustizia (Sal 101 (100), 1). Tuttavia, venendo tra noi, ha portato solo il miele, non l’aculeo, cioè, la misericordia e non il giudizio (Mt 9, 13); così, quando una volta i discepoli gli suggerirono di far consumare dal fuoco la città che non aveva voluto riceverlo (Lc 9, 54-56), rispose che il figlio dell’uomo non era venuto per giudicare, ma per salvare il mondo (Gv 3, 17). Non ha pungiglione la nostra ape; l’aveva in qualche modo deposto quando, soffrendo cose indegne, chiedeva misericordia e non giustizia. Ma non vogliate sperare nell’iniquità (Sal 62 (61), 11), non peccate nella speranza. Può infatti la nostra ape, quando vuole, riprendere il suo pungiglione, e infiggerlo ben forte nelle midolla degli uomini peccatori, perché il Padre non giudica alcuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio (Gv 5, 22). Ma ora il nostro pargolo mangerà panna e miele quando unirà talmente in se stesso il bene della natura umana alla divina misericordia, da essere vero uomo senza peccato, Dio che si mostra misericordioso, non giudice.

 

4. Da quanto abbiamo detto appare chiaro chi sia la verga che spunta dalla radice di Jesse (Is 11, 1-2), e chi sia il fiore (da essa sbocciato) sul quale si poserà lo Spirito Santo. Verga è la Vergine madre di Dio, fiore il suo Figlio. Veramente fiore della Vergine è il Figlio, fiore candido e rubicondo, scelto tra migliaia (Ct 5, 10), fiore nel quale bramano di fissare lo sguardo gli angeli (1 Pt 1, 12), fiore al cui profumo tornano a vita i morti, e come egli stesso si definisce, fiore di campo (Ct 2, 1), e non di giardino. Il campo non sarchiato, non concimato. Proprio così è fiorito il grembo della Vergine, così le viscere di Maria inviolate, integre e caste hanno prodotto questo fiore, come pascoli eternamente verdeggianti, la cui bellezza non vedrà corruzione (Sal 16 (15), 10), la cui gloria non marcirà in eterno. O Vergine, verga sublime, fino a quale sublime altezza ti innalzi! Fino a Colui che siede sul trono (Ap 4, 10; 5, 7 ecc), fino al Signore della maestà. E non fa meraviglia, perché getti profonde le radici dell’umiltà. O veramente celeste pianta, più preziosa di tutte, più di tutte santa! O davvero albero della vita (Gen 2, 9), che solo fu degno di portare il frutto della salvezza. È stata scoperta, o serpente maligno, la tua astuzia, messa completamente a nudo la tua falsità. Due torti avevi attribuito al Creatore, accusandolo di menzogna e di invidia; ma in tutte e due le cose sei stato convinto di aver mentito. Infatti dal principio muore colui al quale avevi detto: Non morirai affatto (Gen 3, 4), e la verità del Signore rimane in eterno (Sal 117 (116), 2). Ma ora rispondi, se puoi: quale albero, il frutto di quale albero ha potuto invidiare Colui che non ha negato (all’uomo) neppure questo virgulto scelto e il suo sublime frutto (Is 4, 2)? Infatti, Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, come non ci ha dato tutto insieme con lui (Rm 8, 32)!

 

5. Ma già vedete, se non erro, che la Vergine è lei stessa quella via regia per la quale è venuto il Salvatore; procedendo dal suo grembo come uno sposo dal suo talamo (Sal 19 (18), 6). Conoscendo dunque questa via, studiamoci anche noi, o dilettissimi, di salire per essa a colui che per essa è disceso a noi, per essa venire in grazia di lui che per essa è venuto alla nostra miseria. Per te ci sia dato accesso al Figlio (Ef 2, 18), o benedetta trovatrice della grazia, madre della vita, madre della salvezza, affinché per te ci accolga colui che per te ci è stato dato. Supplisca la tua integrità, presso di lui, alla colpa della nostra prevaricazione, e l’umiltà che ti rende grata a Dio ottenga il perdono alla nostra vanità. La tua copiosa carità copra la moltitudine dei nostri peccati (1 Pt 4, 8; Gc 5, 20) e la tua gloriosa fecondità ci conferisca la capacità di acquistare meriti. Signora nostra, mediatrice nostra, avvocata nostra, riconciliaci con il tuo Figlio, raccomandaci a Lui, a Lui presentaci. O benedetta, fa’ per la grazia che hai trovato (Lc 1, 30), per la prerogativa che hai meritato, per la misericordia che hai generato, che Colui che per tuo mezzo si è degnato di farsi partecipe della nostra infermità e della nostra miseria, ci faccia altresì, per le tue preghiere, partecipi della sua gloria e beatitudine, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore, che sopra ogni cosa è benedetto nei secoli (Rm 9, 5).

 

 

SERMONE III


Le sette colonne

 

 

1. Nell’Avvento del Signore che celebriamo, se considero la persona di colui che viene, non riesco a farmi un’idea dell’eccellenza della sua maestà. Se guardo quelli ai quali è venuto, rimango spaventato dalla grandezza della degnazione. Certamente gli Angeli sono pieni di stupore per la novità, in quanto vedono al di sotto di sé colui che sempre adorano sopra di sé, e manifestamente ormai salgono e scendono al Figlio dell’uomo (Gv 1, 51). Se considero a fare che cosa egli sia venuto, abbraccio, per quanto posso, l’ampiezza inestimabile della sua carità. Se penso al modo, constato l’esaltazione della condizione umana. Viene infatti il Creatore e Signore di tutto il creato, viene agli uomini, viene per gli uomini, viene uomo. Ma dirà qualcuno: «Come mai si dice che sia venuto, lui che è sempre stato dappertutto? Era nel mondo, e il mondo per lui è stato fatto, e il mondo non lo conobbe» (Gv 1, 10). Non è dunque venuto, lui che era presente, ma è apparso, lui che era nascosto. Perciò ha preso la natura umana nella quale poter essere conosciuto, lui che abita la luce inaccessibile (1 Tm 6, 16). E veramente non era cosa ingloriosa apparire nella sua somiglianza che aveva fatto all’inizio (Mt 19, 4), né indegno di Dio mostrarsi nella sua somiglianza (Gen 1, 26) a coloro che non avrebbero potuto conoscerlo nella sua
sostanza, affinché, lui che aveva fatto l’uomo ad immagine e somiglianza sua, egli stesso apparisse agli uomini come uomo.

 

2. La Chiesa intera dunque celebra una volta all’anno la solennità di questo avvento di tanta maestà, di tanta umiltà, di tanta carità, di tanta nostra glorificazione. Ma volesse Dio che questa celebrazione si facesse sì una sola volta, ma che (nei suoi effetti) durasse sempre. Questo sarebbe molto giusto. Quanta incongruenza infatti c’è nel fatto che, dopo l’avvento di un così grande Re, gli uomini vogliano od osino occuparsi in altri svariati affari, mentre piuttosto, lasciato tutto il resto, dovrebbero occuparsi unicamente nel culto di lui, e, in sua presenza, non ricordarsi di tutte le altre cose. Ma non a tutti si possono applicare le parole del Profeta: Erutteranno il ricordo della tua bontà immensa (Sal 145 (144), 7), in quanto non tutti fanno di questo ricordo il loro cibo. In verità, nessuno può eruttare quello che non ha gustato, e neppure se l’ha solamente gustato. Il rutto non può procedere se non dalla pienezza e dalla sazietà. Perciò coloro che hanno una mente e una vita secolare, anche se celebrano questa memoria, non la eruttano, osservando questo periodo di avvento senza devozione e affezione, per una certa arida consuetudine. Infine, e questo è ancor più da condannare, la memoria di questa degnazione diventa per certuni occasione per la vita carnale (Gal 5, 13), e potresti vedere questi tali tanto solleciti in questi giorni per preparare vesti sontuose e cibi prelibati, come se queste cose cercasse Cristo venendo a nascere tra noi, e venga ricevuto in modo tanto più degno, quanto con maggior cura vengono preparate queste cose. Ma ascolta quello che dice lui: Chi ha occhi altezzosi e cuore superbo, con un tale non prendevo cibo (Sal 101 (100), 5). Perché con tanta ambizione prepari abiti per il mio Natale? Io detesto la superbia, non l’accolgo. Perché con tanta sollecitudine prepari vivande abbondanti per quell’occasione? Io condanno le delizie della carne, non le gradisco. Davvero il tuo cuore è insaziabile, mentre prepari tante cose, facendole venire anche da lontano, mentre per il corpo basterebbero poche cose, e quali si possono con più comodo trovare. Celebrando dunque il mio avvento, tu mi onori con le labbra, ma il tuo cuore è lontano da me (Mt 15, 8). Tu non rendi culto a me, ma il ventre è il tuo dio (Fil 3,19), e tu ti vanti di quello di cui dovresti vergognarti. Proprio infelice colui che cerca il piacere del corpo e la vanità della gloria secolare; beato invece il popolo il cui Dio è il Signore (Sal 144 (143), 15).

 

3. Fratelli, non adiratevi contro gli empi, né invidiate i malfattori (Sal 37 (36), 1). Considerate piuttosto qual è la loro fine (Sal 73 (72), 17), e compatiteli di cuore, e pregate per loro che sono trovati nel peccato (Gal 6, 1). Essi fanno così perché ignorano Dio (1 Cor 15, 34), perché se lo conoscessero, non avrebbero mai provocato stoltamente contro di sé il Signore della gloria (1 Cor 2, 8). Ma noi, dilettissimi, non abbiamo la scusa dell’ignoranza (Gv 15, 22). Voi lo conoscete bene, e se diceste che non lo conoscete, sareste, come i secolari, bugiardi (1 Gv 4, 20). Del resto, se non lo conoscete, chi vi ha condotti qui, o come vi siete venuti? (Mt 22, 12).

E come avresti potuto deciderti a rinunziare spontaneamente all’affetto delle persone care, ai piaceri del corpo, alle vanità del mondo, e gettare nel Signore ogni tuo pensiero (Sal 55 (54), 23) e ogni preoccupazione (1 Pt 5, 7), dal quale non meritavi nulla di bene, anzi, tanto male, come te lo dice la coscienza? Chi, ripeto, ti avrebbe persuaso a fare queste cose, se non avessi saputo che il Signore è buono per quelli che sperano in lui, per l’anima che lo cerca (Lam 3, 25), se non avessi conosciuto anche tu che dolce è il Signore e mite, molto misericordioso e verace? (Sal 86 (85), 5 e 15). E queste cose di dove le hai sapute, se non perché, non solo è venuto a te, ma in te?

 

4. Conosciamo infatti un triplice avvento del Signore: agli uomini, negli uomini, contro gli uomini. È venuto agli uomini, a tutti senza differenza; non così negli uomini e contro gli uomini. Ma siccome il primo e il terzo avvento sono conosciuti, in quanto manifesti, parliamo del secondo, che è spirituale e occulto. Di esso dice lo stesso Signore: Se qualcuno mi ama, metterà in pratica le mie parole, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui, e porremo la nostra dimora presso di lui (Gv 14, 23). Beato colui presso il quale porrai la tua dimora, o Signore Gesù. Beato colui nel quale la Sapienza si edifica una casa, tagliando sette colonne. Beata l’anima che è sede della sapienza. Chi è costei? Certo l’anima del giusto, e con ragione, perché giustizia e diritto sono la base del tuo trono (Sal 89 (88), 15). Chi di voi, fratelli, desidera preparare a Cristo una sede nell’anima sua (Sal 132 (131), 17)? Ecco quali drappi di seta, quali tappeti, quale cuscino bisogna preparare: La giustizia, dice, e il diritto sono la base del tuo trono (Sal 89 (88), 15). La giustizia è quella virtù per cui si dà ad ognuno il suo. Dà dunque il loro a tre categorie di persone: rendi quel che devi al Superiore, all’inferiore, e a chi ti è pari, e tu celebrerai degnamente l’avvento di Cristo, preparando a lui una sede nella giustizia. Da’, dico, la riverenza al prelato e l’obbedienza, quella materiale dell’esecuzione e quella del cuore. Non basta infatti obbedire esternamente ai nostri Superiori; dobbiamo anche dall’intimo affetto del cuore avere alto concetto di loro. E se la vita di qualche prelato fosse apertamente indegna talmente da non ammettere affatto dissimulazioni o scuse, in vista di Colui dal quale deriva ogni potestà, dobbiamo ugualmente aver riguardo al suo grado, anche se al momento lo vediamo così, non considerando i meriti presenti nella persona, ma in ossequio alla disposizione divina e dell’autorità inerente a quell’ufficio.

 

5. Così siamo debitori di consiglio e di aiuto anche ai nostri fratelli per lo stesso diritto di fratellanza e di umana società. Noi esigiamo infatti che ci vengano usati da loro gli stessi servizi: il consiglio, onde istruire la nostra ignoranza, l’aiuto per soccorrere la nostra infermità. Ma ci sarà forse tra voi qualcuno che obbietta in cuor suo: «Quale consiglio potrò dare al fratello, al quale non posso, senza permesso, rivolgere neanche una parola? Quale aiuto dare, quando non è lecito fare la minima cosa senza l’obbedienza?». Io rispondo: Non mancherà certamente l’occasione di fare, purché solo non manchi la carità fraterna. Penso che non ci sia un consiglio migliore che insegnare con l’esempio al tuo fratello ciò che bisogna e ciò che non bisogna fare, incitandolo a far meglio, e consigliandolo non con parole e con la lingua, ma con i fatti e in verità (1 Gv 3, 18). E vi è forse un aiuto più utile e più efficace che il pregare devotamente per lui, che non tralasciare di fargli notare le sue mancanze, di modo che non solo non gli dia motivo di inciampo, ma per quanto puoi cerchi di togliere gli scandali dal Regno di Dio (Mt 13, 41), come un angelo di pace (Is 33, 7), e di rimuovere del tutto le occasioni di scandalo? Se ti dimostri un tale consigliere e collaboratore, tu gli rendi quanto gli devi (Mt 18, 28), ed egli non ha più ragione di lamentarsi.

 

6. Se poi sei superiore con dei sudditi, verso di essi sei debitore di una più grande sollecitudine. Anche il suddito esige da te custodia e disciplina: la custodia, perché possa evitare il peccato; la disciplina poi, affinché, se viene a mancare, la sua colpa non resti impunita. E se ti sembra di non avere sotto di te nessun fratello, hai sempre tuttavia sotto di te qualcuno verso il quale esercitare questa custodia e questa disciplina. Voglio dire il tuo corpo, che certamente è stato dato in custodia al tuo spirito. Devi a lui questa custodia, perché non regni in esso il peccato, né le tue membra diventino arma di iniquità (Rm 6, 12-13). Gli devi anche la disciplina, perché faccia degni frutti di penitenza (Lc 3, 8), perché sia mortificato e docilmente serva (1 Cor 9, 27). Sono vincolati da un debito molto più stretto e gravoso coloro che devono rendere conto di molte anime (Eb 13, 17). Che ne sarà di me, infelice? Dove mi rivolgerò se mi accadrà di essere stato negligente nel custodire un tale tesoro, questo così prezioso deposito (2 Tm 1, 14) che Cristo ha stimato più prezioso del suo sangue? Se avessi raccolto il sangue del Signore che gocciolava dalla croce, e fosse conservato presso di me in un vaso di vetro che spesso dovesse essere spostato, quale stato d’animo sarebbe stato il mio in questo maneggio così pericoloso? Ora è certo che io ho ricevuto un deposito che un mercante non sprovveduto, cioè la stessa Sapienza, ha pagato sborsando quel sangue. Ma inoltre io tengo questo tesoro in vasi di creta (2 Cor 4, 7), che corrono molto più facilmente il pericolo di rompersi che non vasi di vetro. E in verità, al cumulo delle sollecitudini, si aggiunge anche il peso del timore, dovendo conservare la mia coscienza e quella del prossimo che sono l’una e l’altra per me oscure. Entrambe sono un abisso imperscrutabile, l’una e l’altra sono per me una notte, e tuttavia si esige da me di custodirle entrambe, e mi si dice: Sentinella, che è stato questa notte, che è stato questa notte (Is21, 11)? Né io posso dire con Caino: Sono forse io il custode del mio fratello? (Gen 4, 9). Ma devo invece confessare umilmente con il Profeta: Se il Signore non avrà custodito la città, invano veglia il suo custode (Sal 127 (126), 1). Sono scusabile solo quando, come ho detto, pratico insieme la custodia e la disciplina. Se dunque non mancheranno le prime quattro cose, la riverenza cioè e l’obbedienza verso i prelati, il consiglio e l’aiuto ai fratelli, cose che riguardano la giustizia, la Sapienza troverà una sede ben preparata (Sal 93 (92), 2; 103 (102), 19).

 

7. E forse queste sono le sei colonne che (la Sapienza) scolpisce nella casa che si è edificata (Pr 9, 1); e dobbiamo cercare la settima, se essa si degna di farcela conoscere. E che cosa ci impedisce, come abbiamo inteso significate le sei della giustizia (Sal 72 (71), 2), di vedere la settima nel diritto? Infatti, non la giustizia solamente, dice il salmo, ma la giustizia e il diritto sono la base del tuo trono (Sal 89 (88), 15). Invero, se diamo ai prelati, agli uguali e agli inferiori quanto loro spetta, a Dio non daremo nulla? Ma nessuno è in grado di rendere a lui quanto gli deve, avendoci egli elargito con estrema abbondanza la sua misericordia (Sal 33 (32), 22; 86 (85), 13), mentre noi lo abbiamo offeso con innumerevoli peccati, e siamo così fragili, anzi, siamo un nulla (Sal 16 (15), 2), ed egli invece è così perfetto e sufficiente a se stesso da non aver bisogno di tutti i nostri beni. Tuttavia ho sentito dire a uno, al quale Dio ha rivelato i segreti della sua sapienza (Sal 51 (50), 8), che il re glorioso ama il giudizio (Sal 99 (98), 4). Per quanto lo riguarda, egli non esige da noi nulla di più; purché confessiamo le nostre iniquità, ed egli ci giustificherà gratuitamente; perché trionfi la grazia (Rm 3, 24). Ama infatti l’anima che alla sua presenza e senza interruzione esamina e giudica se stessa (Sir 17, 16). E questo giudizio egli esige da noi, ma solo per il nostro bene, perché se ci saremo giudicati da noi stessi, non verremo affatto giudicati (1 Cor 11, 31). Per questo chi è sapiente non si fida di tutte le sue opere, le scruta, le esamina, giudica ogni cosa (1 Cor 2, 10; 2, 15). Rende infatti onore alla verità colui che riconosce lealmente e umilmente se stesso e le cose nello stato in cui sono di fronte alla verità. Senti infine più espressamente come da te, dopo la giustizia, si esiga il giudizio: Quando avrete fatto, dice, tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili (Lc 17, 10). Questa è veramente una degna preparazione di una sede al Signore (Sal 89 (88), 15), per quello che riguarda l’uomo, che cioè cerchi di osservare i suoi doveri di giustizia, e sempre si reputi indegno e servo inutile.

 

 

 

SERMONE IV


Il duplice avvento e le penne argentate

 

 

1. È cosa degna, fratelli, che voi celebriate con tutta devozione l’avvento del Signore, godendo per così grande consolazione, stupefatti per tanta degnazione, infiammati da tanta carità. E non pensate solo al primo avvento nel quale è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19, 10), ma anche al secondo, quando verrà e ci prenderà con sé. Voglia Iddio che meditiate costantemente su queste due venute, ruminando nei vostri cuori i benefici del primo e le promesse del secondo. Voglia Iddio che dormiate tra le due venute (Sal 68 (67), 14)! Queste sono infatti le due braccia dello Sposo, tra le quali la sposa dormiva e diceva: La sua sinistra è sotto il mio capo, e la sua destra mi abbraccerà (Ct 2, 6). Nella sinistra infatti, come leggiamo altrove, è significata la ricchezza e la gloria, nella destra la vita lunga. Nella sua sinistra, è detto, ricchezze e gloria (Pr 3, 16). Udite, figli di Adamo, gente avara e ambiziosa: perché affannarvi per procurarvi ricchezze terrene e gloria temporale che non sono né vere, né vostre? L’oro e l’argento (At 3, 6) non sono forse terra gialla e bianca, che solo l’errore degli uomini fa, o piuttosto considera preziosa? E se queste son cose vostre, portatevele con voi! Ma l’uomo quando muore con sé non porta nulla, né scende con lui la sua gloria (Sal 49 (48), 17-18).

 

2. Le vere ricchezze, dunque, non sono i beni di questo mondo, ma le virtù, che la coscienza porta con sé per essere ricca in eterno. Anche della gloria dice l’Apostolo: Questa è la nostra gloria: la testimonianza della nostra coscienza (2 Cor 1, 12). Questa sì è vera gloria, che viene dallo Spirito di verità. Infatti lo stesso spirito rende testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio (Gv 14, 17; 15, 26; Rm 8, 16). La gloria invece che ricevono gli uni dagli altri coloro che non aspirano a quella che viene solo da Dio (Gv 5, 44), è vana, perché vani sono i figli degli uomini (Sal 62 (61), 10). Sei sciocco tu che metti la tua mercede in sacco bucato (Ag 1, 6), che poni il tuo tesoro sulla bocca di un altro; non sai che questa è una porta che non si chiude (Gen 7, 16), né ha battenti? Come sono più saggi coloro che si custodiscono essi stessi il loro tesoro (Mt 13, 44) e non lo affidano ad altri! Però, lo potranno conservare sempre? Lo terranno sempre nascosto? Verrà il tempo in cui saranno manifestati i segreti del cuore (1 Cor 4, 5; Sal 44 (43), 22), e quelle cose di cui si è fatta ostentazione non compariranno affatto. Per questo, all’arrivo del Signore (Mt 25, 6), le lampade delle vergini stolte si spengono (Mt 25, 8), e il Signore dice di non conoscere (Mt 25, 12) coloro che già hanno ricevuto la loro mercede (Mt 6, 16). Perciò vi dico, carissimi, se abbiamo un po’ di bene, è utile per noi nasconderlo più che non ostentarlo, come fanno i poveri quando chiedono l’elemosina; essi non mostrano abiti preziosi, ma membra seminude, ovvero ulcere, se ne hanno, per indurre più facilmente l’animo di chi vede alla pietà. Questa regola l’ha
osservata il pubblicano del Vangelo molto meglio del fariseo, e perciò discese giustificato a differenza di quello (Lc 18, 14).

 

3. È giunto il momento, fratelli, in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di Dio... E quale sarà la fine di coloro che rifiutano di obbedire al Vangelo (1 Pt 4, 17)? Quale giudizio per coloro che in questo giudizio non risorgono (Sal 1, 5)? Tutti quelli infatti che non si preoccupano di giudicarsi in quel giudizio che si compie adesso, nel quale il principe di questo mondo viene cacciato fuori (Gv 12, 31), aspettino il giudice, o piuttosto, temano il suo arrivo; da lui saranno con il loro stesso principe anch’essi cacciati fuori. Noi invece, se a dovere ci giudichiamo adesso, con sicurezza, aspettiamo come Salvatore il nostro Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21). Allora risplenderanno i giusti (Mt 13, 43), così che potranno vedere i dotti e gli ignoranti (1 Cr 25, 8): splenderanno infatti come il sole nel regno del Padre loro (Mt 13, 43). E sarà come sette volte lo splendore del sole (Is 30, 26), cioè come la luce di sette giorni.

 

4. Venendo infatti il Salvatore, trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21), a condizione tuttavia che prima sia trasformato il cuore, e conformato al suo umile cuore. Per questo anche diceva: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11, 29). Considera come da queste parole risulti che l’umiltà è duplice: quella di cognizione, e quella della volontà, che qui è detta di cuore. Con la prima conosciamo che siamo nulla, e questa la impariamo da noi stessi e dalla nostra debolezza; con la seconda noi calpestiamo la gloria del mondo, e questa la impariamo da Cristo, il quale ha annientato se stesso, prendendo la forma di schiavo (Fil 2, 7), il quale, anche cercato per essere fatto re, fuggì (Gv 6, 15); chiamato invece a subire tante umilianti pene e l’ignominioso supplizio della croce, spontaneamente offrì se stesso (Gv 18, 4; Eb 9, 14). Se dunque vogliamo dormire tra i due avventi, siano argentate le nostre ali (Sal 68 (67), 14), vale a dire, imitiamo nella nostra condotta quelle virtù che Cristo, presente nella sua carne, ci ha raccomandato con le parole e con l’esempio. Nell’argento infatti viene con ragione indicata la sua umanità, come nell’oro la divinità.

 

5. Pertanto, ogni nostra virtù non è virtù vera se si scosta da quel modello (che ci ha lasciato Cristo), e ogni nostra ala non serve a nulla (Mt 5, 13) se non è argentata. È grande l’ala della povertà, con la quale si vola in breve tempo al regno dei cieli (Mt 3, 2; 4, 17). Nelle altre virtù che seguono, quello che è promesso è indicato al futuro; alla povertà, più che promesso, il premio viene dato. Perciò viene proclamato al presente che di essi (i poveri) è il regno dei cieli (Mt 5, 3), mentre per le altre virtù si dice erediteranno, saranno consolati (Mt 5, 4.5) e cose simili. Ma vediamo alcuni poveri che, se avessero la vera povertà, non sarebbero così pusillanimi e tristi, dal momento che sono re, e re del cielo. Ma questi sono quei tali che vogliono essere poveri, a condizione però che nulla loro manchi, e amano la povertà in maniera da non sperimentare l’indigenza di nulla. Vi sono degli altri miti, ma fino a che non si dice o si fa qualche cosa che a loro non piaccia; si potrà poi chiaramente vedere quanto siano lontani dalla vera mansuetudine appena nasca un’occasione (di contrarietà). In qual modo possederà l’eredità (che le è promessa), quella mansuetudine che viene meno prima che arrivi tale eredità? Vedo degli altri che piangono; ma se quelle lacrime uscissero veramente dal cuore, non si cambierebbero così facilmente in riso. Quando invece le parole oziose e scurrili escono più abbondanti di quanto prima non scorressero le lacrime, dubito che quelle lacrime non siano di quelle alle quali è promessa la divina consolazione, mentre dopo di esse si cerca con tanta facilità una consolazione vile. Altri sono pieni di zelo così ardente contro i peccati altrui, che sembrerebbe abbiano fame e sete di giustizia (Mt 5, 6), se essi stessi condannassero con la stessa severità i loro propri peccati; ma invece c’è in essi peso e peso, che è un abominio presso il Signore (Pr 20, 23). Ardono infatti contro gli altri con impudente severità, mentre accarezzano se stessi con insipiente e inutile indulgenza.

 

6. Vi sono altri generosi nell’elargire (Mt 5, 7) ai poveri le cose che non sono loro, che si scandalizzano perché non si dà a tutti con abbondanza, in modo però che essi non ne risentano affatto; se fossero misericordiosi, dovrebbero largheggiare delle cose loro; e non potendolo fare con beni terreni, concedere con buona volontà il perdono a chi li avesse offesi; dovrebbero dare un segno benevolo, una buona parola, che val meglio di un dono eccellente (Sir 18, 17 come nella Reg. S. Benedetto c. 31, 14), onde spingere le loro menti al ravvedimento (Lam 2, 14). Infine, se fossero misericordiosi, darebbero la loro compassione e la loro orazione per essi e per tutti quelli che sanno essere in peccato. Diversamente la loro misericordia è nulla, e non merita nessuna misericordia. Così vi sono di quelli che confessano i loro peccati in modo tale da far pensare che abbiano veramente desiderio di purificare il loro cuore (Mt 5, 8) — con la confessione infatti viene tutto lavato —, sennonché quello che essi spontaneamente dicono agli altri, non sopportano che venga loro detto da altri; se desiderassero veramente di purificarsi, come danno a vedere, non si irriterebbero, ma sarebbero riconoscenti a coloro che fanno vedere ad essi le loro macchie. Vi sono anche altri che, se vedono uno anche solo leggermente turbato, si mostrano molto solleciti per riportarlo in pace; e sembrerebbero pacifici (Mt 5, 9) se non si vedesse che essi sono i più difficili ad essere calmati quando si è detta una parola o si è compiuta un’azione contro di loro; se amassero invece davvero la pace, non v’è dubbio che la cercherebbero per se stessi.

 

7. Argentiamo dunque le nostre ali (Sal 68 (67), 14) applicandoci a imitare Cristo, a guisa dei santi martiri i quali lavarono le loro vesti nella sua passione (Ap 7, 14). Imitiamo, per quanto ci è possibile, Lui che ha talmente amato la povertà che non ha avuto dove reclinare il capo (Lc 9, 58), sebbene nella sua mano fossero i confini della terra (Sal 95 (94), 4), a tal punto che i discepoli che lo seguivano, spinti dalla fame, sgranavano, come si legge nel Vangelo, le spighe nella mano, passando per i campi biondeggianti (Lc 6, 1), e che come pecora fu condotto al macello, e come agnello senza voce innanzi a chi lo tosa non apri la sua bocca (At 8, 32); che leggiamo aver pianto su Lazzaro (Gv 11, 35), sulla città (santa) e che passasse le notti a pregare (Lc 19, 41; 6, 12), mai che abbia riso o scherzato, il quale ebbe tale fame della giustizia (Mt 5, 6) che, non avendo l’uomo di che pagare con il suo, impose a se stesso una così grande soddisfazione per i nostri peccati (1 Cor 15, 3; Gal 1, 4 ecc.). Così sulla croce non aveva altra sete che della giustizia (Mt 5, 6), lui che non esitò a morire per i nemici e pregò per i suoi crocifissori (Lc 23, 34), che non fece peccato (1 Pt 2, 22), e si sentì accusare con pazienza dagli altri, e che per riconciliare i peccatori si sottopose a tante sofferenze.

 

 

SERMONE V


Dell’avvento di mezzo e della triplice innovazione

 

 

1. Abbiamo detto nel sermone precedente che coloro che hanno argentato le loro ali (Sal 68 (67), 14) devono dormire tra i due avventi, ma non abbiamo detto precisamente dove. C’è infatti un terzo avvento e che sta tra gli altri due, nel quale dormono quelli che lo conoscono. Il primo infatti e l’ultimo avvento sono manifesti, non così quello di mezzo. Nel primo Cristo fu veduto sulla terra e visse in mezzo agli uomini (Bar 3, 38), e allora, come egli stesso dice, lo videro e lo odiarono (Gv 15, 24). Nell’ultimo ogni uomo vedrà la salvezza del nostro Dio (Is 40, 5), e volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37). L’avvento che sta in mezzo è occulto, e i soli eletti lo vedono in sé e si salvano le loro anime (1 Pt 3, 20). Nel primo avvento dunque Cristo venne nella debolezza della carne (1 Gv 4, 2), in questo di mezzo viene nella forza dello spirito (Lc 1, 17), nell’ultimo verrà in gloria e maestà (Mc 8, 38; Lc 9, 26 ecc.). Attraverso la virtù infatti si perviene alla gloria, perché il Signore degli eserciti è il Re della gloria, (Sal 24 (23), 10) e altrove dice lo stesso Profeta: Per contemplare la tua potenza e la tua gloria (Sal 63 (62), 3). Questo avvento di mezzo è in certo qual modo una via per cui dal primo si giunge all’ultimo: nel primo Cristo è stato nostra redenzione (Rm 3, 24), nell’ultimo apparirà come vita nostra (Col 3, 4), in questo di mezzo, perché dormiamo tra gli altri due (Sal 68 (67), 14), è nostro riposo e consolazione (2 Cor 1, 5).

 

2. Ma perché non sembri a qualcuno che stiamo inventando le cose che diciamo circa questo avvento intermedio, sentite Cristo stesso: Se qualcuno mi ama, dice, osserverà le mie parole, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui (Gv14, 23). Ma che cosa vuol dire: Se uno mi ama osserverà le mie parole? Ho letto altrove: Chi teme Dio farà il bene (Sir 15, 1); ma sento che è detto di più di colui che ama: egli conserverà le parole di Cristo. Dove si devono conservare? Certamente nel cuore, come dice il Profeta: Nel mio cuore ho nascosto le tue parole, per non peccare contro di te (Sal 119 (118), 11). Ma come conservarle nel cuore? Basta conservarle nella memoria? Ma a coloro che le conservano così l’Apostolo dice che la scienza gonfia (1 Cor 8, 2). E poi la memoria è facilmente soggetta alla dimenticanza. Conserva le parole del Signore (Gv 8, 51; 8, 52 ecc.) come meglio puoi conservare il cibo del tuo corpo. Esse infatti sono pane vivo (Gv 6, 41) e cibo della mente. Il pane terreno, fino a che è nella madia, può essere preso da un ladro, corroso dai topi, e con il tempo guastarsi. Quando invece l’hai mangiato, non temi più nulla di tutto questo. Custodisci così la parola di Dio: Beati infatti sono coloro che la custodiscono (Lc 11, 28). Sia dunque immessa in certo modo nelle viscere dell’anima tua, passi nei tuoi affetti e nei tuoi costumi. Mangia il bene, e se ne impinguerà con piacere l’anima tua (Is 55, 2). Non dimenticare di mangiare il tuo pane (Sal 102 (101), 5), perché non si inaridisca il tuo cuore, ma l’anima tua se ne sazi come a lauto convito (Sal 63 (62), 6).

 

3. Se conserverai in questa maniera la parola di Dio, certamente essa conserverà te. Verrà infatti a te il Figlio con il Padre (Gv 14, 23), verrà il grande profeta (Lc 7, 16), il quale rinnoverà Gerusalemme, ed egli fa nuove tutte le cose (Ap 21, 5). Questo farà questo avvento, affinché, come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo anche l’immagine del celeste (1 Cor 15, 49). Come il vecchio Adamo si è diffuso in tutto l’uomo e lo ha tutto infettato, così ora tutto venga da Cristo che tutto l’ha creato, tutto l’ha redento, tutto lo glorificherà, e che ha sanato tutto l’uomo nel giorno di sabato (Gv 7, 23). Vi era prima in noi l’uomo vecchio (Rm 6, 6); egli era prevaricatore in noi, sia nella mano che nella bocca e nel cuore (Rm 10, 8); nella mano doppiamente, per azioni illecite e vergognose, nel cuore pure per i desideri carnali (Gal 5, 16; Ef 2, 3 ecc.) e la bramosia di gloria temporale. Ora invece, se vi è in lui una nuova creatura, le cose vecchie sono passate (2 Cor 5, 17), e invece dell’azione illecita nella mano c’è l’innocenza, e invece delle cose turpi c’è la continenza. Nella bocca (Rm 10, 8-10), invece dell’arroganza (1 Sam 2, 3) c’è la confessione, invece della detrazione, parole edificanti, perché scompaiano le cose vecchie dalla nostra bocca. Nel cuore poi, invece dei desideri della carne, vi è la carità, al posto della gloria temporale, l’umiltà. E vedi se in queste tre cose (mani, bocca, cuore) gli eletti singoli ricevano veramente Cristo, Verbo di Dio. Ad essi è detto infatti: Ponimi come sigillo sul tuo braccio e sul tuo cuore (Ct 8, 6); e altrove: Vicina è la parola nella tua bocca e nel tuo cuore (Rm 10, 8).

 

 

 

SERMONE VI


Il triplice avvento e la risurrezione della carne

 

 

1. Voglio, fratelli, che voi non ignoriate il tempo della vostra visita (Lc 19, 44), ma neanche ignoriate ciò che in questo tempo viene visitato in voi. Questo è il tempo assegnato alle anime, non ai corpi, perché l’anima è cosa molto più eccellente del corpo, e per questo deve essere naturalmente per prima oggetto della nostra sollecitudine. Essa per prima dev’essere restaurata, essendo stata la prima a cadere. L’anima infatti, corrotta per la colpa, fece sì che anche il corpo come pena fosse assoggettato alla corruzione. E poi, se vogliamo essere trovati membra di Cristo (1 Cor 6, 15), dobbiamo certamente seguire il nostro Capo, cioè prima dobbiamo essere solleciti circa le anime, per le quali egli è già venuto, e alle quali cercò per prima cosa di portare rimedio. Differiamo invece la cura del corpo, riservandola a quel giorno in cui verrà appunto a riformare il corpo, come ricorda l’Apostolo dove dice: Aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro povero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21). Nella prima venuta, Giovanni Battista come un araldo, anzi, vero araldo di lui, grida: Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (Gv 1, 29).

Non dice le malattie del corpo, non le molestie della carne, ma il peccato, che è malattia dell’anima, che è corruzione della mente. Ecco colui che toglie i peccati del mondo. Di dove li toglie? Dalla mano, dall’occhio, dal collo, dalla carne, insomma, in cui è profondamente infisso.

 

2. Toglie i peccati dalle mani, cancellando i peccati commessi, li toglie dagli occhi, purificando l’intenzione del cuore; li toglie dal collo, allontanando la violenta dominazione, come sta scritto: Hai spezzato il giogo che l’opprimeva, come al tempo di Madian (Is 9,4); e altrove: Marcirà il giogo per il grasso (Is10, 27). E l’Apostolo dice: Non regni il peccato nel vostro corpo mortale (Rm 6, 12). Altrove ancora dice lo stesso Apostolo: So che non c’è in me il bene, cioè, nella mia carne (Rm 7,18); e altrove: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7, 24). Sapeva infatti che non sarebbe liberato da quella pessima radice, che è infissa nella carne, la legge del peccato che è nelle nostre membra (Rm 7, 23) prima di essere sciolto dallo stesso corpo; per questo bramava di essere sciolto da esso ed essere con Cristo (Fil 1, 23), sapendo che il peccato che ci separa da Dio non potrà scomparire del tutto fino a che siamo liberati dal corpo (Rm 7, 24). Avete sentito di quel tale che il Signore liberò dal demonio, come uscì questi da lui straziandolo e gridando (Mc 1, 26). Così vi dico, quella specie di peccato che tanto spesso ci reca molestia (Mc 9, 28), parlo della concupiscenza e delle tendenze cattive, deve essere certamente repressa, e lo possiamo fare con la grazia di Dio, di modo che non regni in noi, né facciamo delle nostre membra delle armi di iniquità (Rm 6, 12-13), e non vi sia dannazione per quelli che sono in Cristo Gesù (Rm 8, 1); ma non può essere sradicata se non nella morte, quando sentiamo lo strazio della separazione dell’anima dal corpo.

 

3. Ecco per che cosa è venuto Cristo, ecco ciò a cui deve mirare il cristiano. Perciò, o corpo, non voler anticipare i tempi: puoi infatti impedire la salvezza dell’anima, ma non è in tuo potere operare la salvezza di te stesso. Ogni cosa ha il suo tempo (Qo 3, 1). Lascia che ora l’anima lavori per sé, anzi, cerca anche di collaborare con essa, perché se con lei soffri, con lei regnerai (Rm 8, 17; 2 Tm 2, 12). Quanto metti ostacoli alla sua riparazione, altrettanto impedirai la tua; non potrai infatti essere trasformato fino a che Dio veda in essa riformata la sua immagine. Hai un nobile ospite, o carne, molto nobile, e tutta la tua salvezza dipende da quella di lui. Rendi onore a un tanto ospite. Tu abiti infatti nella tua regione, l’anima invece è esule ed è ospitata presso di te (Mi 4, 10). Pensa un po’: se un povero contadino venisse richiesto di dare ospitalità ad un uomo nobile e potente, non si adatterebbe volentieri a sistemare se stesso in un angolo di casa sua, in un sottoscala, o perfino nella cenere, per cedere all’ospite il posto migliore, come si conviene? Anche tu, pertanto, fa’ ugualmente (Lc 10, 37). Non aver paura dei cattivi trattamenti o delle molestie, purché il tuo ospite possa abitare presso di te con onore. È un onore per te mostrarti per il momento a causa di lui tu stesso senza onore.

 

4. E per non disprezzare o tenere in poco conto il tuo ospite, per il fatto che ti appare come pellegrino e straniero (1 Cr 29, 15; Sal 39 (38), 13 ecc.), poni mente con diligenza a quanto ti viene donato dalla presenza di questo ospite (Pr 23, 1). È lui infatti che dà agli occhi la vista, l’udito agli orecchi; è lui che fa parlare la lingua, dà al palato il gusto, il movimento a tutte le membra (Mt 11, 5). Se c’è vita in te, se c’è senso, se c’è bellezza, devi riconoscerlo come un beneficio di questo ospite. Del resto, la sua partenza mette in evidenza quello che la sua presenza produceva. Non appena infatti l’anima esce dal corpo, la lingua diventa muta, gli occhi non vedono più, le orecchie non sentono, tutto il corpo diventa rigido e freddo, il volto diventa cereo. In breve tutto il corpo va in putrefazione ed emette fetore, e tutta la sua bellezza si risolve in marciume. Perché dunque per un qualsiasi diletto passeggero contristi e danneggi questo ospite, senza del quale ti è impossibile sentire quello stesso piacere? Inoltre, se tanti vantaggi ti procura quest’anima, mentre è esule, e cacciata dalla faccia del Signore a causa della colpa (Gen 3, 8; 4, 16 ecc.), quanto ti gioverà una volta riconciliata con Dio? Non volere, o corpo, impedire quella riconciliazione: da essa ne verrà grande gloria per te. Con pazienza, volentieri anzi, sii disposto a tutto; non essere restio a tutto ciò che possa sembrare utile a questa riconciliazione. Di’ al tuo ospite: «Il tuo Signore si ricorderà di te, e ti restituirà nel tuo primitivo grado, e tu ricordati di me» (Gen 40, 13-14).

 

5. Certamente infatti si ricorderà di te per il tuo bene, se lo avrai servito bene; e quando sarà giunto al suo Signore, gli parlerà di te (Gen 40, 14), e si interesserà a tuo favore dicendo: «Quando il tuo servo era in esilio per espiare la sua colpa, un certo povero, presso il quale fui ospite (At 21, 16), mi usò misericordia, e ora ti prego, o Signore mio, di ricompensarlo per me (Sal 138 (137), 8). Per mio bene infatti egli ha sacrificato prima tutti i suoi averi, e poi anche se stesso, non risparmiando se stesso per me, sottoponendosi a molti digiuni, a frequenti fatiche, a veglie senza misura, soffrendo la fame, la sete, e anche il freddo e la nudità» (2 Cor 11, 23 e 27). E allora? Di sicuro non mentirà la Scrittura che dice: Farà la volontà di coloro che lo temono, ed esaudirà la loro supplica (Sal 145 (144), 19). Oh se potessi gustare questa dolcezza (1 Pt 2, 3), se potessi apprezzare questa gloria! Dirò infatti cose meravigliose, ma vere e certe, ai fedeli: lo stesso Signore degli eserciti (Rm 9, 29 ecc.), il Signore delle Schiere e Re della gloria (Sal 24 (23), 10), egli personalmente scenderà a trasformare i nostri corpi e a configurarli al suo corpo glorioso (Fil 3, 21). Quanto grande sarà quella gloria, quanto ineffabile quella esultanza, quando il Creatore dell’universo, che prima era venuto umile e nascosto per giustificare le anime, per glorificare te, o misera carne, verrà sublime e manifesto (At 2, 20), non nell’infermità, ma nella sua gloria e maestà (Mc 8, 38; Lc 9, 26 ecc.)! Chi potrà farsi un’idea del giorno di quell’avvento (Mal 3, 2), quando discenderà con pienezza di luce, preceduto dagli angeli che, con il suono della tromba (1 Ts 4, 15-16) faranno risorgere il povero corpo dalla polvere, e lo porteranno rapito incontro a Cristo nell’aria?

 

6. Fino a quando, dunque, la misera, insipiente, cieca e del tutto stupida carne va dietro alle cose transitorie e cerca consolazioni caduche, anzi, desolazioni, più che consolazioni, rischiando di venire condannata come indegna di quella gloria, e destinata piuttosto ad essere tormentata per l’eternità da indicibile pena? Non così, ve ne scongiuro, fratelli miei, non sia così (Sal 1, 4); ché anzi, si rallegri in queste considerazioni l’anima nostra (Sal 35 (34), 9), e la stessa nostra carne riposi nella speranza (Sal 16 (15), 9): Aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale la trasfigurerà, per conformarla al suo corpo glorioso (Fil 3, 20-21). Così infatti dice il Profeta: Di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne (Sal 63 (62), 2). L’anima cioè del Profeta bramava il primo avvento, con il quale sapeva che sarebbe stata redenta; ma molto più il suo corpo desiderava l’ultimo avvento e la sua glorificazione. Allora infatti saranno realizzati i nostri desideri, e tutta la terra sarà piena della maestà del Signore (Sal 72 (71), 19; Is 6, 3). A questa gloria, a questa felicità, a questa pace che sorpassa ogni intendimento (Fil 4, 7) ci conduca per la sua misericordia, e non ci confonda nella nostra aspettativa (Sal 119 (118), 116), egli stesso, il Salvatore che aspettiamo (Fil 3, 20) Gesù Cristo nostro Signore che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli (Rm 9, 5).

 

 

 

SERMONE VII


Della triplice utilità

 

 

1. Se celebriamo con devozione l’Avvento del Signore, facciamo il nostro interesse: Gesù infatti non solo è venuto a noi, ma anche per noi, Lui che non ha bisogno dei nostri beni (Sal 16 (15), 2). Ma la grandezza della nostra indigenza mette maggiormente in luce la immensa sua degnazione. E non solo la gravità della malattia apparisce dal prezzo della medicina, ma anche i molti aspetti della salute si comprendono dalla moltitudine dei rimedi. Infatti, perché ci sono varie specie di grazie (1 Cor 12, 4), se non si vede alcuna diversità di bisogni? Certo, è difficile parlare in un solo sermone di tutte queste necessità; ma me ne vengono in mente tre, che sono in certo qual modo le principali, e sono comuni a tutti. Non c’è infatti nessuno tra noi che non abbia bisogno in questa vita di consiglio, di aiuto e di sostegno. Tutto il genere umano è soggetto a una triplice miseria, e quanti siamo giacenti nella regione delle ombre morte (Is 9, 1), in questo corpo infermo, in questo luogo di tentazione, se facciamo attenzione, ci accorgiamo di soffrire miseramente di questo triplice inconveniente. Siamo infatti facilmente sedotti, deboli nell’operare e fragili a resistere. Se vogliamo discernere tra il bene e il male (1 Re 3, 9), ci inganniamo; se tentiamo di fare il bene (Gal 6, 9) veniamo meno; se ci sforziamo di resistere al male (Ef 6, 13) cediamo e restiamo vinti.

 

2. È necessaria pertanto la venuta del Salvatore, necessaria agli uomini che si trovano in questo stato la presenza di Cristo. E voglia Dio che egli venga in modo che, abitando in noi per la fede (Ef 3, 17), per sua grandissima degnazione, illumini la nostra cecità, e stando con noi (Lc 24, 29) aiuti la nostra infermità, e stando per noi (Rm 8, 26) protegga e difenda la nostra fragilità. Se infatti egli sarà in noi, chi ci ingannerà? Se egli sarà con noi, di che cosa non saremo capaci in colui che ci conforta (Fil 4, 13)? Se egli sarà per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8, 31). Egli è un fedele consigliere, che né può ingannare, né ingannarci; è un aiutante forte (1 Mac 3, 15) che non soffre stanchezza; è un patrono efficace, capace di mettere subito lo stesso Satana sotto i nostri piedi (Rm 16, 20), e frantumare tutte le sue armi. Egli è infatti la Sapienza di Dio (1 Cor 1, 21.24 ecc.), che è sempre pronta a istruire gli ignoranti; egli è la Forza di Dio (Rm 1, 16; 1 Cor 1, 18 ecc.), per la quale è facile ritemprare chi sta per venire meno, e liberare chi è in pericolo. Corriamo dunque, fratelli miei, ad un così grande maestro ogni qualvolta dobbiamo deliberare qualche cosa; in ogni operazione invochiamo un così forte coadiutore; a questo così valoroso difensore in ogni lotta affidiamo le nostre anime, a lui che per questo è venuto nel mondo (Gv 18, 37; 3, 19), perché, abitando tra gli uomini (Sal 78 (77), 60), con gli uomini e per gli uomini, illuminasse le nostre tenebre (Sal 18 (17), 29), alleggerisse le nostre fatiche, e dai pericoli ci liberasse.

Benvenuto

Benedizione a Frate Leone

Il Signore ti benedica e ti custodisca.

Mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te.

Volga a te il suo sguardo e ti dia pace.

Il Signore ti dia la sua grande benedizione.

 
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